«Noi braccianti senza terra orfani del compagno Lula»

mst2 Il più grande movimento sociale brasiliano non si riconosce più nel primo presidente di sinistra e nel Pt, suo partito di riferimento. Ma non parla di «tradimento»: rapporti «tesi però fraterni» Intervista a Neuri Rossetto, della segreteria nazionale dell’Mst. Che reclama per gli impegni non mantenuti sulla riforma agraria

Maurizio Matteuzzi – Il Manifesto

Lula, il primo presidente di sinistra nella storia del Brasile? Non ha tenuto fede agli impegni sulla riforma agraria e neanche sulla protezione ambientale dell’Amazzonia, non è più «il nostro presidente», con lui i rapporti dei Senza terra sono «tesi però fraterni». Dilma Rousseff, la super-ministra che Lula ha incoronato come la sua candidata a succedergli nel 2010? Con l’ex-guerrigliera sarà/sarebbe «anche peggio» perché ormai «è l’equivalente di José Serra», il governatore di San Paolo (formalmente social-democratico, sostanzialmente di destra) che nel 2003 contese la presidenza a Lula e la contenderà a Dilma fra un paio d’anni. Il Partido dos trabalhadores, il partito della sinistra non-dogmatica nato dal movimento cattolico-progressista e dal movimento sindacale nell’80? Noi, comed Movimento dei Senza terra «siamo orfani di uno strumento politico». La chiesa cattolica brasiliana un tempo famosa per il suo progressismo politico, sociale e anche teologico? Non c’è più, i vecchi pastori sono morti o andati in pensione e i nuovi non sono più la stessa cosa, la politica conservatrice di Wojtyla e Ratzinger «ha avuto successo». I «bio-combustibili» – l’etanolo – che i Sem terra chiamano più propriamente «agro-combustibili» e altri più crudamente «necro-combustibili»? E’ una questione di modello, ossia di visione della vita, ancor prima che di benzina (ancorché «verde») contro alimenti: «il modello dell’agro-business contrapposto al modello agro-familiare».
I giudizi di Neuri Rossetto, uno dei leader dell’Mst, il Movimento dos trabalhadores rurais sem terra, il più grande, organizzato, radicale e cosciente dei movimenti sociali dell’America latina, sono netti e senza concessioni al politically correct (politichese), ma altrettanto articolati.
E’ vero che le speranze poste in Lula da Silva dai milioni e milioni di braccianti senza terra molti dei quali in quell’indimenticabile primo gennaio del 2003 erano fra le centinaia di migliaia di popolo che si riversarono sulla Esplanada dos ministerios di Brasilia per presenziare – e partecipare – all’insediamento nel palazzo di Planalto dell’ex-migrante nordestino-ex-metalmeccanico-ex-sindacalista, sono andate in buona (o grande) misura deluse. Nonostante che Lula sia sia dimostrato complessivamente un eccellente (o un grande) presidente. Contro gufi e corvi delle élite vecchie e nuove che preconizzavano l’inevitabile fallimento del «brutto rospo barbuto» chiamato a un compito troppo impegnativo per uno senza uno straccio di laurea, senza un dito lasciato sotto la pressa di una fabbrica paulista (ciò che nei party e nei summit non fa una buona impressione) e senza una parola d’inglese nel suo bagaglio culturale.
Però.
Però, detto quello che c’è da dire, Rossetto e i suoi compagni, nonostante le delusioni sanno benissimo che Lula è diverso da tutti gli altri 34 presidenti della repubblica federativa do Brasil venuti prima di lui dal 1889. Diverso e migliore. In sostanziale continuità con la politica economica monetarista-liberista di prima ma con un afflato sociale nuovo. Basta pensare al programma «borsa-famiglia» per i settori più poveri ed emarginati della popolazione che in Brasile sono decine di milioni.
Come il più noto fra i leader dell’Mst, João Pedro Stédile, Neuri Rossetto, in Italia per partecipare a una serie di incontri in vista dei 25 anni dell’Mst (celebrati nel gennaio 2009 nel Rio Grande do Sul alla vigilia del Foro social mondiale di Belem, nello stato amazzonico del Pará), racchiude nella sua traiettoria personale e politica la storia del Movimento dei Senza terra per la riforma agraria, per un modello di sviluppo alternativo, per «un altro mondo possibile».
Quarantasette anni, nato nel Santa Catarina, lo stato meridionale del Brasile confinante con il Rio Grande del Sud dove nel 1984 tutto cominciò, una famiglia partita tre o quattro generazioni fa dal Veneto per andare a tentare la sorte nel meridione brasiliano, contadini in origine poi divenuti piccoli commercianti nella città di Quilombo, Neuri ha potuto studiare grazie alla chiesa cattolica. Andò a scuola nel seminario di Chapecó. Erano gli ultimi anni della lunghissima dittatura militare e la diocesi della città catarinense era in prima linea nelle lotte per i diritti dei camponeses e degli indios. Lui non si fece prete – «per poco», racconta – e dal seminario passò all’occupazione delle terre a fianco dei preti d’assalto, dei contadini e degli indigeni. Era il maggio 1985 e l’Mst era nato solo un anno prima nell’alveo del movimento pastorale della Cnbb, la Conferenza episcopale brasiliana. Quella fu la sua vera università, anche se prima nel Santa Catarina poi a San Paolo, dove si trasferì nell’87 dopo essere entrato nella segreteria nazionale, frequentò corsi di pedagogia e scienze sociali alla Puc, la Pontifícia Universidade Católica della capitale paulista.
L’Mst si appresta a celebrare i suoi primi 25 anni di attività. Tempo di bilanci. Quali?
Per dirla sinteticamente e per punti: 1) abbiamo insediato sulla terra 350 mila famiglie, ossia quasi due milioni di braccianti senza terra se si calcola una famiglia composta in media da 5 persone; 2) siamo riusciti a inserire la riforma agraria nell’agenda politica nazionale e, soprattutto, fra i debiti pendenti a livello sociale; abbiamo proposto un modello alternativo a quello dell’agro-business neo-liberista, centrandolo su alcuni nodi precisi: quello dell’alimentazione per tutti in un paese in cui c’erano e ci sono fame e denutrizione di massa, quello di uno sviluppo rispettoso della preservazione della natura e quello di una struttura economica fondata anziché sull’esportazione, sull’agricoltura familiare e sulla piccola agro-industria; 4) avere impostato il problema della riforma agraria non tanto come un progetto a sé stante ma come un progetto di sviluppo sociale complessivo, l’unico capace di fermare l’esodo dalle campagne verso le favelas delle città; 5) aver lavorato e puntato molto sulla crescita politica, culturale e umana delle masse contadine,
E qual è il bilancio dei rapporti fra il presidente Lula e il Movimento dei Senza terra?
I rapporti fra l’Mst e il presidente Lula sono tesi ma fraterni. Noi non siamo contenti della politica economica portata avanti da Lula, e neanche della sua linea sulla riforma agraria. Ma non siamo fra quelli, come molti settori dell’estrema sinistra dentro e fuori il Pt, che accusano Lula di essere un traditore o un nemico di classe. Lula ci ha deluso: lui pensa che l’agro-business sia una strada praticabile e buona per lo sviluppo economico del paese, ha liberalizzato l’uso degli ogm nelle colture di soja, non ha ridotto l’allarmante ritmo di disboscamento dell’Amazzonia. Anzi: in Congresso c’è un progetto di legge che amplia le aree disboscabili… Rispetto alla riforma agraria è innegabile che Lula qualcosa abbia fatto, come rivendica, ma si è trattato più di un appoggio a quanto era già stato fatto prima e non invece di nuovi insediamenti di contadini senza terra. Secondo le stesse cifre ufficiali, fra il 2003 e il 2007 sono state insediate 450 mila famiglie di cui però 307 mila riguardano l’Amazzonia. Ciò significa in sostanza una regolarizzazione fondiaria e una colonizzazione agricola, non una riforma agraria. La riforma agraria, per noi, vuol dire muoversi contro il latifondo improduttivo. E Lula non vuole scontrarsi con il latifondo.
Nel caso nel 2010 a Lula succedesse Dilma Rousseff, le cose migliorerebbero nei rapporti fra Mst e il secondo presidente di sinistra?
Dilma sarebbe anche peggio di Lula. Nonostante il suo passato nella guerriglia contro la dittatura militare non ha la connotazione popolare di Lula, che è sincera. Dilma rappresenta l’ala tecnocratica, è l’equivalente di José Serra, che con ogni probabilità sarà il candidato presidenziale del Pdsb, i tucanos come si chiamano in Brasile i social-democratici, che sono però la vera destra.
L’Mst ha sempre avuto rapporti simbiotici con la chiesa cattolica, che l’ha tenuto a battesimo nell’84 e sotto la sua ala protettrice in questi 25 anni. Ma esponenti della Teologia della liberazione come dom Evaristo Arns, arcivescovo di San Paolo, o dom Helder Camara, arcivescovo di Recife, sono stati mandati in pensione per limiti di età o sono morti. E’ cambiata la chiesa cattolica brasiliana e sono cambiati i rapporti con l’Mst?
Molto cambiati. Nella Conferenza episcopale non c’è stato un rinnovamento in linea con il passato. Le eccezioni ormai sono poche, dom Tomás Balduino, l’ex-responsabile della Commissione pastorale per la terra, dom Pedro Casaldiga, il vescovo emerito di São Félix de Araguaia, nel Mato Grosso… Purtroppo si deve dire che l’opera di papi come Wojtyla e Ratzinger ha avuto successo.
Con i media l’Mst ha sempre avuto un rapporto conflittuale. I principali giornali e network radio-televisivi non parlano mai della sua funzione di coscientizzazione e democratizzazione di masse popolari sempre emarginate e abbandonate a se stesse, ma hanno cercato in tutti i modi di criminalizzare il Movimento presentandolo come violento ed eversivo. E’ ancora così?
E’ sempre peggio. I grandi media hanno preso il posto dei partiti, che anche in Brasile sono in profonda crisi, a cominciare dal Pt. Sono i giornali e le tv a dare la linea contro i movimenti sociali come il nostro e contro la riforma agraria.
Gli agro-combustibili: un altro punto di dissenso forte fra l’Mst e Lula. Che dice che le colture della canna da zucchero da cui si ricava l’etanolo e il bio-fuel non costituiscono più dell’1% delle terre coltivabili del Brasile e quindi non c’è alcuna contraddizione fra le terre usate per la produzione alimentare e le terre usate per i prodotti d’esportazione o per l’etanolo…
Sono due modelli antitetici a confronto. Il modello dell’agro-business da esportazione dominato dalle transnazionali contro il modello agro-familiare e per la sovranità alimentare. Incompatibili. Adesso ci dicono che non ci sono più terre improduttive per cui, non volendo toccare il latifondo che è il vero nodo, non si può più fare la riforma agraria. Ma poi dicono anche che, di fronte ai 7 milioni di ettari coltivati a canna da zucchero di adesso, ci sono 90 milioni di ettari buoni per la canna e senza contare l’Amazzonia. Allora questa terra c’è o non c’è? E a cosa deve servire?
Il Movimento dei Senza terra ha avuto fin dal principio il Pt come suo referente politico privilegiato, anche se non l’unico. E’ ancora così dopo sei anni di un presidente della repubblica «petista» e altrettanti o più di sindaci e governatori statali del Pt?
Non solo Lula, neanche il Pt è più il ricettore-canalizzatore delle energie dirette verso la riforma agraria. Noi Senza terra siamo ormai orfani di uno strumento politico.

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