La città di Napoli, non il Napoli, è bene immateriale di se stessa

A margine della festa per lo scudetto del Napoli, Pagina3 di Radio3 RAI, contrappone Raiz (Foglio) a Marcello Anselmo che scrive per la rivista del Mulino, su Napoli e il Napoli. Per semplificare: Raiz (Gennaro Della Volpe, Almamegretta e tanto altro) vede nello scudetto un ulteriore segno che i tempi per la città stiano cambiando, Marcello, che è un bravissimo storico di formazione, è molto più prudente. Mi sento a metà strada. Marcello Anselmo ha ragione a denunciare l’orripilante, paralizzante, reazionaria retorica del “riscatto” che accomunerebbe i destini del calcio a quelli della città. Allo stesso tempo i successi della SSC Napoli (un modello imprenditoriale di successo, in grado di insegnare a stare sul mercato alle indebitatissime e pretenziose società del Nord) sono paralleli e sintetizzano (non incarnano) una trasformazione reale della città.

Lo stallo della città novecentesca

Questa – in estrema sintesi – fin dal primo dopoguerra, ma in particolare in epoca repubblicana, è stata sacrificata dalla prospezione geopolitica e dal modello di sviluppo italiano. In particolare è stata costretta a rinunciare alla centralità del porto per la perifericità del Mezzogiorno, la crisi post-ottomana del Nordafrica, la messa in disponibilità del porto stesso per la NATO. Poi la città è stata scientemente deindustrializzata (nell’immagine il famoso comizio di Enrico Berlinguer alla Festa dell’Unità 1976), al prezzo di “rilumpenizzare” interi pezzi della società e rompendo il circuito virtuoso dato dal lavoro formale novecentesco. Infine, è stata demonizzata da decenni di discriminazione leghistoide. Napoli, per molta parte dell’Italia, è un altro da sé da irridere, stigmatizzare, bastonare. Rispetto a tale portato discriminatorio, e alla permanenza dei cosiddetti ‘problemi’, è ridicolo pensare che un successo sportivo riscatti da alcunché.

Un nuovo modello di sviluppo?

Detto ciò è innegabile che, in parallelo con i successi imprenditoriali e sportivi della SSC Napoli, da oltre un decennio, la città stia trovando un suo modello di sviluppo autonomo a dispetto dei santi. Questo comporta una trasformazione del tessuto urbano e della relazione della città col mondo in forme che nel Secolo scorso neanche immaginavamo. Tale modello, imperniato sul turismo di massa, è discutibile, perfettibile, non esaustivo della complessità problematica di una città metropolitana di oltre tre milioni di abitanti. Ogni perplessità è lecita ma, allo stato, tale modello non è altrimenti sostituibile e ne è anzi auspicabile il consolidamento (anche infrastrutturale).

Napoli bene immateriale dell’umanità

Quello che in pochi considerano è che la vague turistica di Napoli sta rompendo l’accerchiamento nel quale ha vissuto la città almeno dal primo dopoguerra e, in particolare, dal terremoto del 1980 in avanti. Cito qui solo tre aspetti che da infrastrutturali stanno divenendo strutturali. Il primo è che i veri trionfi che registra da molti anni l’aeroporto di Capodichino (che valgono dieci scudetti) hanno rimesso Napoli al centro del mondo. Per la prima volta oggi la città è libera dai circuiti del turismo di massa, anchilosati da un secolo sull’asse Roma-Firenze-Venezia. Un tedesco o un americano oggi, per venire a Napoli, non ha più bisogno di passare dall’Italia.

Il turismo, come il calcio, non sarà mai tutto per la capitale morale d’Italia, ma solo un paio di decenni fa – ed è il secondo punto – chi poteva immaginare che questo fosse volano per un settore chiave come l’edilizia, portando a ristrutturare uno dei centri antichi più importanti al mondo? 

Il terzo è che oggi a Napoli non si viene solo per l’eccezionale patrimonio artistico e culturale non secondo a nessuno in Italia e nel mondo, né per la paesaggistica (e qui non faccio graduatorie). Oggi si viene soprattutto per perdersi in una “Neapolitan way of life” che è un “bene immateriale dell’umanità” che in pochi avevano immaginato si potesse mettere a profitto.

Decine di migliaia di turisti in queste settimane stanno venendo a Napoli solo per “godersi la festa”, contribuendo all’indotto economico dello scudetto. La fabbrica novecentesca non tornerà, né col pubblico né col privato, ma a Napoli da cosa sta nascendo cosa. E di questo la storia virtuosa della SSC Napoli si fa ambasciatrice nel mondo.