Sulle elezioni in Bolivia, denuncio

Domando alla OEA e alla UE (che fa da ruota di scorta), sulla base di quale legge nazionale boliviana o del diritto internazionale, pretendano che in Bolivia si svolga un ballottaggio indipendentemente dall’esito delle elezioni presidenziali di domenica scorsa, e come mai si sono pronunciati in tal senso ben prima che si finalizzasse lo spoglio dei voti, come denunciato dagli osservatori OEA del Messico, dissociatisi da tale risoluzione finale.

Chiedo, IN ASSENZA DI LORO denunce gravi e circostanziate di irregolarità, in assenza di FATTI, quanto PER LORO debba essere una percentuale sufficiente di vittoria per Evo Morales in Bolivia, già che 650.000 voti di vantaggio, pari a oltre il 10,5% di distacco sul candidato delle destre Carlos Mesa, su sei milioni e mezzo di votanti, non paia loro sufficiente. A loro sembra semplicemente “opportuno” che si svolga un ballottaggio. Come mai non lo chiedono in altri casi dove la volontà degli elettori sia ben meno marcata del 47,1% di Morales contro il 36,5 di Mesa?

Denuncio l’ipocrisia malintenzionata con la quale OEA e UE pretendono che paesi pauperrimi come la Bolivia, con distanze enormi e assenza o carenze di infrastrutture, debbano improvvisamente trasformarsi nella Svezia o, in alternativa, per ritardi di scrutinio simili a quelli che si registrano sistematicamente in paesi europei come l’Italia, vedere i loro processi democratici screditati come fossero la Corea del Nord e addirittura indurre l’opinione pubblica a pensarli come illegittimi.

Accuso la OEA in particolare (e la UE in subordine) di attitudine golpista. Travisando e offendendo le leggi della Bolivia, pretendono dal nulla un ballottaggio che di fatto annullerebbe elezioni democratiche, esulando totalmente dal loro compito, solo per una preordinata volontà di delegittimazione del governo di La Paz, orchestrato – denuncio – dal segretario generale della OEA, Luís Almagro, personaggio lui sì senza alcun credito politico o etico, di recente espulso all’unanimità per indegnità dal Frente Amplio per le sue attitudini pro-golpe militare nella crisi venezuelana.

Giova ricordare che da tempo le forze che hanno sempre dominato la politica continentale puntino al sovvertimento dei regimi democratici in America latina attraverso colpi di stato tradizionali (come quello in Honduras nel 2009) o giudiziari (come quello in Brasile che ha incarcerato Lula) o, come in questo caso in Bolivia, attraverso la strumentale delegittimazione di processi elettorali. La violenza usata in questi giorni dal presidente Piñera in Cile, sta lì a dimostrare che gli eserciti debbano restare SEMPRE nelle caserme, salvo evocare il mostro che più di tutti ha marcato la storia della regione nel XX secolo: il Terrorismo di Stato.

Trovo scandaloso l’uso di osservatori internazionali che negano la ratifica della regolarità delle elezioni, imperfette come tutte (o dimentichiamo Bush/Gore nel 2000?) pur non essendo in grado di formulare accuse concrete e quindi legittimandole nella loro sostanza. Ripeto, di quanto distacco doveva vincere Evo Morales? Perché Evo Morales ha bisogno di più voti di quelli chiesti a un governante neoliberale per essere legittimato?

La conclusione è che gli osservatori non siano terzi ma siano inviati a supportare la rappresentazione dei media monopolisti, per la quale solo le forze appartenenti al “pensiero unico” neoliberale, alle quali sono del tutto affini, in una rappresentazione falsa di pluralismo tra interessi identici, che Noam Chomsky denunciava già decenni fa nella “Fabbrica del Consenso”, sarebbero legittimate a possedere il consenso degli elettori e vincere le elezioni.

Al contrario, infine, trovo ignobile che chiunque rappresenti il campo popolare, l’integrazione del Continente latinoamericano, la costruzione di uno stato sociale che allevi le sofferenze di moltitudini di persone o come, nel caso del governo di Evo Morales, porti al superamento di un regime di apartheid durato 500 anni, debba sistematicamente essere stigmatizzato e rappresentato come incapace e corrotto.

Gennaro Carotenuto, professore di Storia Contemporanea, Università di Macerata, attualmente visiting fellow presso la City University di New York