Charlie Hebdo: da Parigi a Kobane alle nostre periferie si combatte «la terza guerra mondiale a pezzetti»

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Ad Ahmed, morto per la Francia

La dinamica con la quale è stato condotto l’assalto al settimanale satirico francese Charlie Hebdo, che ha causato 12 morti a Parigi, dimostra che è evidentemente opera di forze speciali, perfettamente equipaggiate, addestrate, esperte e veterane, probabilmente provenienti da scenari di guerra dell’Iraq o della Siria, ben lontane da quelle armate di presunti straccioni fanatici che ci piace rappresentare sotto le bandiere nere. Lontano da ogni complottismo, ciò dimostra due cose: la prima è che, se pure i bersagli possibili sono molti, Charlie Hebdo era tra i più sensibili, testimoniando il fallimento totale della sicurezza francese e il fatto che l’Europa intera sia sotto attacco, tanto militarmente come nei suoi valori fondativi (sia pur spesso negletti), a partire dalla libertà d’espressione. La seconda è che cade a pezzi uno degli argomenti più volgari ed elettoralistici della destra islamofoba, per la quale milioni di cittadini di religione musulmana sarebbero pronti a trasformarsi in “terroristi fai da te”. Se pure ciò è possibile in linea teorica, quando viene deciso di «colpire il cuore dello Stato» non servono fanatici, ma mani esperte e menti raffinatissime.

Il commando che ha agito nell’XI arrondissement di Parigi, riuscendo a dileguarsi indisturbato, dimostra una volta di più che i musulmani europei, già cittadini o di fresca immigrazione, sono le prime vittime di un fronte di guerra che da Kobane a Parigi li vede aggrediti dal terrorismo stesso, da stati liberticidi come l’IS o delle campagne d’odio lanciate dalle nostre destre. È quello stesso terrorismo, che esiste, rappresentato dal fascismo islamico che lasciamo combattere praticamente sole e disarmate alle partigiane kurde e a pochi altri. Anche Charb, il direttore di Charlie Hebdo, caduto oggi sotto i colpi dei terroristi, lo aveva scritto di recente: «i kurdi difendono tutti noi». Non basta più. È su quei fronti che si difende Parigi come Roma, Londra come Berlino o Madrid, non per il petrolio o gli interessi delle multinazionali, ma per gli stessi motivi per i quali era giusto difendere la Spagna repubblicana dal fascismo del secolo scorso. Anche allora gli interessi, le doppiezze e le ignavie delle classi dirigenti europee ebbero un ruolo decisivo nell’abbandonare a se stessa la II Repubblica e spianare il cammino alla seconda guerra mondiale. Allora come oggi, con cinismo spietato, si lascia che il nemico, il fascismo islamico come qualunque altro fanatismo religioso è il nemico, possa essere usato come spauracchio, e utilità elettorale, massacrando indisturbato i vignettisti di Charlie Hebdo come i cristiani d’Iraq. Sono responsabilità così gravi, quelle delle classi dirigenti occidentali, che pure dragano centinaia di miliardi per il complesso militare industriale, e che corrispondono, anche oggi a Parigi, al contribuire allo scivolare in quella terza guerra mondiale a pezzetti evocata da Jorge Bergoglio.

Non sfugga a nessuno che è il sistema democratico a essere sotto attacco in Europa, stretto in una morsa della quale i terroristi di presunta matrice islamista che hanno agito a Parigi sono solo la faccia più visibile e odiosa della tenaglia. Non sfugga a nessuno la piena funzionalità del nemico islamico a un disegno autoritario che, di fronte all’insostenibilità del modello economico neoliberale – la crisi del quale dalle periferie del mondo è giunta dal 2008 in avanti nei paesi centrali – pretende di tagliare libertà e diritti sulla base di un’emergenzialità e di un’islamofobia che abbiamo già conosciuto dall’11 settembre 2001 in avanti. Il terrorismo, come il disagio causato nelle periferie urbane dalla sommatoria tra crisi e frizione tra nuovi e vecchi proletariati e immigrazione, sono la foglia di fico che le classi dirigenti usano per sviare l’interesse dal sistematico taglio di diritti e di servizi sociali indispensabili per una piena integrazione e per il progresso dei migranti. Ai diritti e all’integrazione non c’è alternativa, come non c’è cedimento possibile all’odio xenofobo che si alza in queste ore. Se l’integrazione costa ma è indispensabile, non c’è alternativa a farla pagare a chi può:  a quelle classi dirigenti che quella crisi hanno creato, che quei diritti vogliono smantellare e soffiano sul fuoco del nemico esterno per sviare l’obiettivo dalle loro responsabilità. Sostengono invece che non ci sia alternativa a ridurre o negare sanità, educazione, redditi di cittadinanza, costati quasi due secoli di lotte al movimento operaio e che stanno evaporando in pochi anni, e inducono col martellamento dei media che controllano a demonizzare gli immigrati, in particolare quelli musulmani, additandoli come un nemico esterno.

Ma l’Europa, intesa come civiltà e non come entità economica, ha senso solo fino a quando sarà in grado di garantire libertà e diritti a tutti quelli che l’hanno scelta come casa, di qualunque religione essi siano. La Francia in particolare, che quest’anno celebra i 110 anni della propria laicità, non può permettersi retrocessioni in merito. Per i democratici, che siano governati dall’imbelle Hollande o dall’ambiguo Renzi, lo scelta è solo apparentemente tra l’emiro Al Baghdadi e Marine Le Pen o Matteo Salvini come facce di uno stesso estremismo che induca a continuare a sopportare l’esistente. L’unica vera scelta possibile è quella tra il rilancio di integrazione e diritti per tutte e tutti, nel rispetto, nella laicità e nel progresso e la conservazione di un modello economico, quello neoliberale, che quei diritti conculca, contribuendo a creare mostri.