Oggi debutta l’Huffington Post Italia, diretto da Lucia Annunziata e joint venture tra la casa madre USA e il gruppo l’Espresso. Nasce per essere la corazzata del nascente mercato del giornalismo solo online e per spezzare le reni ai vari Post, Lettera43, Linkiesta. Per quello le redini sono state assegnate ad una giornalista top, Lucia Annunziata, una della decina che davvero conta in Italia, papaverona transumante da sinistra verso ovunque, e nonostante innumerevoli precedenti di incomprensione se non di scontro con la Rete e il giornalismo partecipativo. E infatti il debutto appare non solo giornalisticamente modesto ma con le ali appesantite dall’incomprensione (tutta sua) per il medium. Facciamole un po’ di pulci.
Lucia Annunziata fa l’Americana da una vita, ma apre il suo Huffington Post con un’intervista al peggio della casta politica nostrana, che non è Er Batman, ma il Re di Bunga Bunga, Silvio Berlusconi. Questo, l’intervista poco anglosassone è iper-friendly, viene fatto passare per una Biancaneve che sogna ancora di rinnovare eticamente la politica. Che scoop! Considerato anche lo spazio dato a Giulio Tremonti, poteva andar bene per esordire nel 2011 o nel 2001, il nuovo che avanza.
Non c’è un’inchiesta, una denuncia, c’è la replica del teatrino della politica mediatica, della quale Annunziata è regina, ma del quale gli italiani non ne possono più. La concorrenza è avanti: Lettera43 apre con gli stipendi fermi. Linkiesta con il tetto a quelli dei manager che è una chimera. Il Post sulla Polverini e sul minigolpe (ma importante per la Rete) di Scalfarotto che appoggia Renzi. Liberainformazione fa un appello a parlare di periferie. Peacelink, orrore, apre sulla Siria!
Rispetto al polso del paese Annunziata è fedele alla sua linea per la quale il giornalismo non serve per informare ma per orientare. Calmare, sopire, addormentare: è giornalismo? È giornalismo buono per la Rete? L’effetto è come se con l’Huffington Post ci offrisse un vassoio di brioche senza guardare al calendario che segna il 13 luglio 1789.
La titolazione in apertura è poi enorme, esagerata, davvero brutta. Sul mio notebook (13′, mica un iPhone) a stento si coglie la pelata del berlusca sotto il titolone. No, non ci posso credere che abbiano pensato il sito per maxischermi da desktop e non si adatti alle esigenze di quel 90% che si collegano in altre maniere.
A questo aggiungeteci che stride, ma veramente stride, il fatto che il menù verdone sotto la testata dichiaratamente escluda gli Esteri dai temi principali. Sì, di Obbbama ne parleranno, ma l’Huffington Post nasce per continuare a guardarci nell’ombelico italiano. Sai che novità. Avremo sgoop sull’ultima intervista a Gentiloni e vedremo in anteprima la risposta di Cicchitto e la replica di Enrico Letta. Wau!
Si le notizie ci sono, c’è la cronaca, ma sono il riciclo (come per le gallerie di foto a iosa) di quello che mandano a ciclo continuo le agenzie oppure si linka direttamente al sito di Repubblica. Basta un redattore mal pagato al desk per fare un giornale così. Per esempio c’è il macchinista morto sull’Eurostar: il link punta all’edizione pugliese della Repubblica mentre se clicchi su “commenti” ti manda ad una pagina interna all’HP dove non c’è l’articolo e infatti non c’è nessun commento. Chissà, i Lucia-Boys avranno pensato di separare anglosassonamente (su due siti diversi) le notizie dalle opinioni ma è evidente che l’effetto (voluto?) è disarmante.
E veniamo così al punto centrale, che è poi la negazione della storia dell’Huffington Post: 180 blogger sono una goccia nel mare della blogosfera, sembrano selezionati col manuale Cencelli e sono un campioncino, non un campione, di quantità irrisoria rispetto all’esercito di contributori volontari (addirittura 30.000) che scrivono per la casa madre. Amici, amici di amici, conoscenti, il classico giro di telefonate controllabile da Lucia che fa confermare la voce che abbia accettato la direzione dell’HP a patto di non avere blogger tra i piedi.
E questa è l’impressione, i blogger servono a portare traffico, link, click, ma a patto che stiano sulle loro, e chinino la testa di fronte alle prerogative del vero giornalismo. È il comandamento numero 1 di Lucia l’americana all’amatriciana: “I blog non sono un prodotto giornalistico, sono commenti, opinioni su fatti in genere noti; ed è uno dei motivi per cui i blogger non vengono pagati”.
Braccino corto accompagnato dalla filosofia degli amici degli amici anti-partecipazione a oltranza, i Gianni Riotta, i Pigì Battista, i Geminello Alvi e compagnia che sulla Rete la pensano un po’ come Ahmedinejad: “la stampa siamo noi, ragazzini lasciateci lavorare”. Beninteso l’ex presidente della RAI ha tutto il diritto di far finta di aprire ai blog per fare invece un “vero” giornale online ma, almeno la prima impressione, di questo Huffington Post nostrano, è un po’ penosa.