Alleanze, accordi, negoziati prima del voto e i vari conteggi sulle percentuali elettorali. Mentre anche Usa e Europa ne fanno: quanto tempo ancora dovremo restare nel paese e quanto ci costerà?
Emanuele Giordana
Mentre un nuovo ordigno è esploso ieri mattina al passaggio di un convoglio di militari italiani vicino a Kabul, nella valle di Musai, a circa 15 chilometri a sud della capitale, senza però provocare feriti, la scadenza elettorale del 20 agosto si avvicina a vista d’occhio.
E’ non solo il banco di prova del prossimo presidente afgano e della sua effettiva popolarità, ma anche la misura della capacità di tessere alleanze, patti e cordate prima della consultazione -la seconda – in un paese in guerra da trent’anni. Mentre almeno quaranta, ha detto ieri un alto comandante britannico ne serviranno per stabilizzare il paese.
Dieci potrebbero bastare per i tedeschi, ha detto invece il ministro della difesa di Berlino, mentre negli Usa si pensa che in due-cinque anni si potrà cominciare ha capire chi ha vinto e chi ha perso. Anche in Europa e in America si fanno i conti insomma e si comincia a pensare a un’agenda che preveda il rientro dall’Afghanistan dei contingenti militari occidentali, un tema che ha anche attraversato la campagna elettorale.
Campagna elettorale che – a meno di due settimane dal voto del 20 agosto – procede senza esclusione di colpi e sorprese. L’ultima in ordine di tempo riguarda l’accordo "segreto" tra il presidente uscente e il suo ex ministro delle Finanze, Ashraf Ghani, che Karzai teme possa frantumare il voto pashtun. L’accordo servirebbe, oltre ad assicurarsi i voti di Ghani, a ostacolare Abdullah Abdullah, l’unico altro concorrente, forte nel Nord del paese, che Hamid Karzai teme davvero. La proposta è che Ghani, facendosi da parte, abbia poi un posto di chief executive, una sorta di premierato ad hoc. La proposta sarebbe stata caldeggiata da Richard Holbrooke e dall’ambasciatore Usa Karl Eikenberry anche se gli americani non confermano. Ma Ghani ha subito smentito e ha fatto sapere che l’offerta dimostra solo la debolezza di Karzai che, nella sua politica di alleanze a tutto tondo, avrebbe già promesso venti posti ad altrettanti candidati nel suo futuro gabinetto. Ghani è andato oltre.
In un articolo apparso il sette agosto sul Wall Street Journal (Ghani ha vissuto a lungo negli Usa), dal titolo “Afghanistan Needs New Leadership”, spiega che l’“Afghanistan ha bisogno di una nuova leadership”, perché “negli ultimi cinque anni” Karzai ha reso il paese “uno degli stati più corrotti e falliti” del globo. Più di così… Ma poche in Afghanistan, come ovunque, ogni cosa ha il suo prezzo, tenere duro per Ghani, che molto difficilmente può vincere la partita anche se potrebbe seriamente danneggiare Karzai al primo turno, significa anche alzare la posta: la proposta gli è forse sembrata troppo debole.
Se nel paese si fanno dunque i conti sulle percentuali possibili al primo turno, in America e in Europa si fanno conti di altro tipo. Quanto ci vorrà ancora e quanto ci costerà restare in Afghanistan?
Ieri, in una intervista al Bild, il ministro della difesa tedesco, Franz Josef Jung, precisando che Berlino resterà impegnata nella missione “fino a che la situazione della sicurezza non si stabilizzerà per davvero” ha fatto una previsione di altri 5-10 anni, almeno per il settore settentrionale piantonato dai tedeschi che hanno in Afghanistan 4.500 soldati e 300 in servizio di ricognizione aerea con una spesa per aiutare il governo afgano di 1,2 miliardi di euro dal 2002. Il generale britannico David Richards, che dal 28 di questo mese sarà capo di stato maggiore delle forze armate, pensa invece che l’impegno del suo Paese in Afghanistan potrebbe durare 40 anni, anche se l’aspetto militare avrà sempre meno importanza mentre sarà necessario privilegiare i settori “dello sviluppo, della governabilità, della sicurezza”.
Anche gli Usa fanno i conti: due anni ancora di “combattimento pesante”, tre anni di transizione per passare la mano all’esercito afgano e altri cinque per l’intero passaggio di consegne. Ma i primi due anni saranno chiave: o si vince o si perde e, nei due casi, o si resta o si va a casa. E’ l’analisi di David Kilcullen, esperto di countroinsurrezione consigliere in fieri del generale Stanley McChrystal, comandante delle truppe Usa e Nato nel paese.
Ma Kilcullen è solo un consigliere. Per saperne di più bisognerà attendere proprio un’imminente relazione di McChristall al presidente. Secondo un’anticipazione del Financial Times il generale pensa che l’esercito afgano (attualmente 86 mila uomini col supporto di 80mila poliziotti) debba crescere fino a 400mila addetti (polizia compresa). Costo stimato dell’operazione su cinque anni: circa venti miliardi di dollari.
http://emgiordana.blogspot.com/2009/08/conti-in-tasca-allafghanistan.html