Coprifuoco, repressione, caccia all’uomo in Honduras, alla chiusura di questa nota ogni minuto la situazione appare più grave. Abbiamo raccolto nuove testimonianze da Tegucigalpa mentre Il lavoro encomiabile di “Telesur” continua a mostrare dal vivo (al mondo, ma non agli honduregni ai quali è stata oscurata) immagini dalla capitale a chiunque abbia onestà intellettuale e occhi per vedere.
Quelle che abbiamo raccolto sono le voci di dirigenti e militanti in clandestinità e come tali possono essere meno informate di chi ha una visione d’insieme, ma ci raccontano del successo dello sciopero generale, della resistenza pacifica e attiva al golpe, delle cariche dell’esercito, delle bombe lacrimogene. Lo sciopero generale a tempo indeterminato sarebbe sostenuto soprattutto dai dipendenti pubblici che stanno impedendo il funzionamento degli uffici.
Sono voci che narrano di un popolo che resiste ma anche che viene represso, di pattuglie che, dopo avere avuto come primo obbiettivo sequestrare urne e schede elettorali per impedire il referendum stanno ora perseguendo in tutta la capitale, e presumibilmente in tutto il resto del paese, i dirigenti popolari. Ci sono sicuramente molti arresti ma si ignora la sorte di chi è stato catturato nelle ultime 36 ore.
Le persone che abbiamo sentito (né nomi, né luoghi please) parlano di barricate che si stanno alzando nei dintorni del palazzo presidenziale (ma Telesur ha mostrato come alcune di esse siano state spazzate via dai golpisti) e di continue violazioni pacifiche del coprifuoco da parte di migliaia e migliaia di persone. Ci raccontano dunque di una partita aperta nella quale si confrontano nel paese due forze comparabili, l’esercito golpista e la popolazione civile, senza che una delle due possa prevalere sull’altra. Un passaggio che rende ancora più importante la solidarietà internazionale.
L’elettricità, rispetto a ieri, quando i militari avevano lasciato al buio il paese, va e viene. Come nei film western sono state messe delle taglie sulla testa degli oppositori. Ricompense sarebbero state promesse direttamente in un discorso alla nazione dal presidente di fatto Roberto Micheletti che nel paese è già stato ribattezzato Pinochetti. I media monopolisti in mano ai golpisti parlano di tranquillità, di situazione normale, di feste nel paese, nulla informano sul rifiuto internazionale del golpe e sulla resistenza popolare ma si contraddicono quando poi parlano di ricompense, taglie, nascondigli da rivelare in cambio di soldi. E’ un dettaglio che la dice lunga sulla qualità umana delle oligarchie golpiste che hanno preso il potere in Honduras per evitare “la deriva chavista”.
Fin qui il racconto da Tegucigalpa. Cosa c’è di più simbolico dei militari che percorrono le vie dell’Honduras a caccia di schede elettorali? Quel referendum consultivo e non vincolante per l’Assemblea Costituente non si doveva tenere ad ogni costo. A nessun costo può essere accettata dall’oligarchia un’Assemblea costituente dove il popolo scriva per la prima volta la propria costituzione. A nessun costo le oligarchie del paese erano, sono, disposte a una democratizzazione reale del paese, anche a costo dell’isolamento internazionale.
Il golpe appare senza futuro e Roberto Micheletti appare destinato a passare alla storia come il Carmona honduregno, dal nome dell’effimero dittatore venezuelano del 2002 rovesciato dalla mobilitazione di milioni di militanti bolivariani. Micheletti è il Carmona honduregno ma può fare ancora molto male al paese e soprattutto a quei militanti che sono caduti in queste ore nelle mani dei suoi squadroni. La vita di questi militanti, non illudiamoci, è a rischio e hanno bisogno della massima solidarietà internazionale, ora, non domani.
Proprio l’isolamento internazionale del golpe è senz’altro uno dei fatti politici di queste ore. Non sono solamente i governi integrazionisti latinoamericani ad aver condannato il golpe ma sono tutte le organizzazioni internazionali, l’ONU, la OEA, la UE, oltre alle organizzazioni regionali, Alba, Unasur, Mercosur ad averlo fatto. Anche le parole scelte da Barack Obama e Hillary Clinton sono inequivocabili. Aspettiamo i fatti e la rinuncia “senza condizioni” dei golpisti, così come pretesa dalla OEA, ma ci troviamo di fronte a una lieta sorpresa: la politica, anche quella bizantina delle diplomazie sta battendo un colpo usando parole chiare. E’ che l’America latina del 2009, anche se a qualcuno dispiace, è definitivamente un’altra anche rispetto a quella del 2002 nella quale fallì il golpe venezuelano.
Chi invece appare irredimibile anche sull’Honduras è l’informazione. Dalle pagine di Giornalismo partecipativo abbiamo denunciato il caso del quotidiano spagnolo di centro sinistra “El País”. Ancora adesso, nonostante Barack Obama, nonostante l’ONU, nonostante l’UE, il quotidiano spagnolo se pur ha dovuto utilizzare il termine “colpo di Stato” che per giorni aveva negato, continua a spalleggiare il dittatore Micheletti che continua a definire semplicemente “il nuovo presidente”. La vergogna di “El País” è comparabile a quella della “Sociedad Interamericana de Prensa” (SIP) il massimo organismo continentale che raggruppa editori e rappresentanti dei maggiori mezzi di comunicazione degli Stati Uniti e dell’ America Latina, sempre pronta ad attaccare i governi progressisti latinoamericani ma che solo pochi minuti fa ha emesso il primo comunicato nel quale non denuncia la chiusura di media in Honduras ma si limita a chiedere il rispetto della libertà di stampa “alle nuove autorità”. E’ che i media chiusi dai golpisti sono piccoli e poveri in un paese piccolo e poveri, addirittura sono radio comunitarie, media partecipativi, webradio. Cosa importa alla SIP la chiusura di media che non fatturano milioni di dollari?
Intanto anche in Italia l’Honduras trova spazio. Ma in che forma? Di fronte al caso inaudito dei tre diplomatici sequestrati e picchiati ci si rende conto di trovarsi di fronte a pseudogiornalisti che non sono capaci di valutare la gravità delle notizie che hanno di fronte, che probabilmente non sanno nulla di inviolabilità delle sedi diplomatiche o di immunità diplomatica come poco o nulla sanno dei temi dei quali scrivono. E allora “La Repubblica” appare affascinatissima dal fatto che Micheletti suona come un cognome italiano e ci tiene tanto a farci sapere che il padre del dittatore, date le origine bergamasche, sarebbe tifoso dell’Atalanta (sic). “La Stampa”, come altri, sembra molto più preoccupata da eventuali reazioni di Hugo Chávez (e l’ingerenza umanitaria? e l’esportazione della democrazia?). Sembra che la sola possibilità di un intervento venezuelano basti a redistribuire le colpe mentre il TGCOM è arrivato a parlare di “golpe dei giudici” forse in omaggio alle fobie del padrone di Mediaset.
Infine tutti ma proprio tutti accettano pedissequamente la giustificazione golpista: “siamo intervenuti perché Zelaya voleva farsi rieleggere” con una palpitazione paragonabile a dire “siamo intervenuti perché Zelaya voleva farsi l’atomica”. A nessuno viene in mente di ribaltare l’onere della prova e magari pensare che "i golpisti sono intervenuti…" come intervengono da che mondo è mondo i golpisti: “per impedire il cambiamento”. Neanche una parola si trova sull’Assemblea Costituente nella stampa italiana che, evidentemente, non solo non ha alcun corrispondente in centroamerica ma ha costruito le proprie cronache su fonti mainstream straniere non verificate. E meno male che Obama non ha lasciato adito a dubbi. Altrimenti staremmo festeggiando il paisà tifoso dell’Atalanta che ha fatto fuori il burattino di Chávez!