Sulle relazioni tra Iran e Venezuela

Antonio Pagliula: in questi giorni si legge e si parla spesso circa gli incontri che il presidente iraniano Ahmadinejad sta svolgendo in Sudamerica. Mi piacerebbe sapere Lei cosa pensa a riguardo, crede che, fuori da un discorso economico, realmente un intesa Venezuela-Iran possa essere positiva anche a livello politico? Le chiedo questo perchè esprimendo la mia opinione a riguardo nel mio blog ho ricevuto delle critiche. Personalmente però non riesco a intravedere nulla di buono in Ahmadinejad e nell’attuale Iran, e temo che questa “intesa” forte che sembra delinearsi tra alcuni stati latinoamericani e l’Iran siano solo dannosi a lungo andare. Insomma non credo che quella iraniana sia la via giusta da seguire nell’ottico di conseguire un nuovo assetto mondiale. Lei cosa opina a riguardo?

Gennaro Carotenuto: Caro Antonio, il primo partner commerciale dell’Iran è la Germania, il secondo è l’Italia. Quando il centrosinistra era al governo (1996-2001) qualcuno nel centrodestra parlava proprio di “cattive amicizie”, ma poi, una volta al governo, continuarono ad approfondire le relazioni italo-iraniane. Con quale faccia, tanto la destra come la sinistra, possono criticare Chávez?

Il problema posto dalle relazioni irano-venezuelane non è pertanto se siamo in sintonia o no con Ahmadinejad e con il suo governo. Non lo siamo, per molti motivi, non c’è dubbio. Ma questo non sposta di molto i termini di una valutazione geopolitica generale. L’Iran, è una potenza regionale importante che, come l’America Latina, cerca di emergere da quel ruolo di paese coloniale al quale l’avevano relegata i paesi anglosassoni. La questione quindi è che quelle relazioni rappresentano una sinergia ineludibile sud-sud tra paesi che sono sia esportatori di petrolio sia paesi aggrediti costantemente dagli Stati Uniti. Ci sia chi ci sia al governo in America Latina o in Iran, gli interessi di Venezuela e Iran innanzitutto, e di America Latina e Iran in un contesto più ampio, sono coincidenti in molteplici aspetti.

Dieci anni fa, i paesi latinoamericani si sarebbero fatti dettare da Washington con chi avere relazioni economiche e politiche (e quindi per esempio non avevano relazioni con Cuba). Oggi ragionano con la loro testa e profilano una politica nella quale l’occidente non è più il centro del mondo. Questa riflessione è ineludibile, perché solo l’Occidente continua a pensare di essere il centro del mondo e poter scegliere di avere relazioni con regimi impresentabili (come quelli dei due torturatori, Bush e Ahmedinejad) ma poter giudicare e condannare la politica estera altrui.

Uno dei fattori principali di cambiamento in America Latina -ne scrissi in Latinoamerica- è proprio il fatto che rispetto agli anni ’80-’90, quando l’unico partner strategico del continente erano gli Stati Uniti, in un contesto ortodossamente neoliberale, adesso l’economia latinoamericana può servirsi ad un numero molteplice di forni. C’è quello cinese che è oggi un mercato fondamentale, le relazioni con l’India si approfondiscono giorno per giorno, si sta ricostruendo un mercato interno che era crollato ai minimi storici negli anni ’90, e in generale le relazioni sud-sud sono in crescita, dall’Africa al Medio Oriente. Tutto questo, non la leggenda del disinteresse degli Stati Uniti, fa sì che l’America Latina oggi abbia dei margini per fare una politica estera autonoma. Ti invito a uscire dalla gabbia mentale imposta dal colonialismo per la quale solo l’Occidente ha la maturità e la prudenza necessaria per avere una politica estera da attore globale. Dieci anni fa c’era solo l’Occidente. Oggi molti paesi nella regione, tra questi almeno Venezuela e Brasile (molto più quest’ultimo), agiscono da attori globali. Ed è solo un bene.


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