Dal fast-food alla fast-war

Il presidente Hu Jintao tratta Bill Gates come un capo di stato. Quasi come se fosse il vero capo di stato. Si guardano e si capiscono, e ognuno ha qualcosa da offrire all’altro.

La licenza Windows è un passaporto per conquistare il mondo con un marchio, Lenovo, che ha fagocitato IBM e che già oggi domina il segmento dei portatili. L’interesse cinese al passaggio dal taroccato al legale dà la misura di come rapidamente cambia il mondo. Bill Gates, l’uomo dell’ideologia del garage di casa, fa uscire la Cina dagli scantinati.

Invece Bush deve risultare noioso a Hu. Arriverà con quel suo lunghissimo cahier de doléance: la sottovalutazione artificiale dello yuan, l’offrire all’America Latina un secondo forno che fa appassire (o fiorire) il giardino di casa, una bilancia di pagamenti sfavorevole di oltre 200 miliardi di dollari. Già, cos’avrà da vendere domani l’ “America” alla Cina?
Ha fatto un grande affare la Boeing con un contratto da 4 miliardi di dollari. Ma quegli 80 aerei spalmati su vari anni sono appena il 2% dello sbilancio di un anno. Ci vuol altro per non passare la mano.

Soprattutto Bush chiede a Hu di non metterlo con le spalle al muro con Teheran. Ma per la Cina l’Iran è un fornitore strategico ed in questo si trova d’accordo con Russia e India. I giganti euroasiatici (Cina+Russia+India+Iran) sono mezzo mondo e possono sempre più prescindere dalla “modernità” occidentale. Nessuno però, a Oriente come a Occidente, può prescindere dal progresso energetico e dal superamento del petrolio. La Cina affoga oggi, non domani, nello smog della sua frenesia.

Intanto i sondaggi dicono che la popolazione statunitense è contraria alla guerra in Iraq ma favorevole a quella in Iran. Le teleserie troppo lunghe annoiano e le televisioni hanno bisogno di rinnovare i palinsesti con nuove eccitanti lucine verdi. Dalla cultura del fast-food a quella della fast-war.