Foro Sociale Mondiale: Belém batte Davos 6-2

_45419534_090128_fsm416 Il Foro Sociale Mondiale era considerato dai grandi media il contro vertice rispetto al Foro Economico Mondiale di Davos in Svizzera. Era il momento di quando ancora si credeva che tutto fosse cominciato a Seattle.

Poi quando fu chiaro che tutto (il movimento critico al neoliberismo allora imperante) era cominciato tra il Chiapas, il Caracazo, Porto Alegre e il V Centenario della conquista dell’America, tra i movimenti sociali europei, presto in franco riflusso, i più se ne disinteressarono.

Sempre europei siamo e non possiamo ammettere che l’America latina sia più avanti in tutto nel costruire quell’altro mondo necessario e urgente e non solo blandamente possibile. E infatti il Foro Sociale Mondiale, aperto ieri a Belém da Lula da Silva è sempre più luogo dove si confrontano politiche di governo di quella democrazia partecipativa che sta trasformando il Continente lasciando indietro l’Europa. Quest’anno, nonostante arrivano in queste ore a Belém do Pará 120.000 militanti dei movimenti sociali, ciò si riflette nella trasformazione del FSM anche in un vertice governativo.

Confluiranno in queste ore nella città subito a Nord del Rio delle Amazzoni ben sei capi di Stato, Evo Morales, boliviano, fresco reduce dal trionfo nel referendum costituzionale, Michelle Bachelet dal Cile, una frequentatrice di Davos che quest’anno ha cambiato destinazione, Rafael Correa dall’Ecuador, e anche lui può presentare ai movimenti il saldo attivo dell’approvazione della nuova Costituzione, Fernando Lugo l’ex vescovo dal Paraguay e Hugo Chávez dal Venezuela, oltre all’anfitrione, il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva.

A Davos intanto vanno solo in due, gli unici due presidenti latinoamericani legati mani e piedi all’epoca e ai crimini di George W Bush. Sono il colombiano Álvaro Uribe e il messicano Felipe Calderón, che continuano imperterriti ad andare contro il flusso della storia e ci andrebbero anche se il prossimo anno al FSM arrivasse Barack Obama in persona. Ma proprio la presenza di Michelle Bachelet (che poi viaggerà a Cuba) rappresenta il punto di inflessione. Anche la cilena ha capito che l’integrazione regionale è lo strumento per far fronte alla crisi economica e per la prima volta il Cile sceglie di non dare le spalle al Continente.