Barack Obama: senza pregiudizio, né positivo né negativo

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Vedo gli obamiti italiani fare la ola e vorrei condividere un po’ di più di quell’ottimismo un po’ ingenuo di chi continua a considerare il più “bla bla” dei presidenti statunitensi, John F. Kennedy, come un cambiamento.

Come se bastassero le parole se poi i fatti della Storia, Vietnam, Baia dei porci, dimostrano ben altro. E’ una sorta di pregiudizio positivo (ma sempre pregiudizio) quello di chi si sentiva un po’ imbarazzato da George W Bush che gli impediva in quanto politicamente corretto la comodità di far battere il cuore sempre per le stelle e le strisce. Adesso possono star tranquilli ma è un pregiudizio gregario e un po’ zotico quello di chi guarda sempre a “fare come altrove”, che sia Mosca o Washington, poco importa.

Ma vivaddio, un immigrato di seconda generazione e dalla pelle nera (sull’immigrato glissano i più, ma è altrettanto o più importante) alla Casa Bianca nessuno può considerarlo meno di un grande passo per l’umanità; la bandiera rossa sul Reichstag, il Che di Korda, l’impronta del piede di Neil Armstrong sulla Luna, la mano di dio in Inghilterra-Argentina. Non ci si può non emozionare col cuore per un appuntamento così con la Storia. Sarebbe un pregiudizio negativo non considerare storico nel paese del Ku Klux Klan un passaggio del genere e non si può non dirlo nonostante i fiumi di parole già scritti. Emozionarsi col cuore e mantenere il cervello freddo.

Oggi dall’evento simbolico si passa ai fatti. Ed è una boccata d’aria fresca la notizia che il primo atto di Obama in quanto presidente è la sospensione per quattro mesi dei processi di Guantanamo, la più visibile, la più alla luce del sole delle mille infamie compiute dal regime Bush. Applaudiamo alla sospensione ma non possiamo non ricordare che Obama ha promesso di chiuderla Guantanamo, e senza chiudere gli occhi sul fatto che Bagram, la Guantanamo afgana, resti aperta. Guantanamo non basta, Obama, sarebbe solo un piccolo passo verso il riportare gli Stati Uniti tra le nazioni civili. Uno dei tanti necessari.

Oggi dai simboli si passa ai fatti su più fronti. E Barack Obama smetterà di essere un simbolo solo quando per i bambini neri ci saranno le stesse possibilità di sopravvivere al primo anno di vita di quelle che hanno i bambini bianchi; quando per le ragazze nere ci saranno le stesse possibilità di rimanere incinta adolescenti delle ragazze bianche; quando per i giovani neri ci saranno le stesse possibilità di finire in galera dei ragazzi bianchi; quando per i ragazzi e le ragazze nere ci saranno le stesse possibilità di frequentare una buona università di quelle che hanno le ragazze e i ragazzi bianchi.

Domani, senza questi fatti concreti Obama non si potrà più appropriare dei parafernali di Martin Luther King e delle battaglie per i diritti civili.

Come non era finita la storia con la caduta del muro di Berlino, oggi la Storia comincia, non si è chiusa con il giuramento del primo presidente nero. I progressisti politicamente corretti di cui sopra da oggi non hanno il diritto di chiudere gli occhi sui crimini dell’impero e del neoliberismo solo perché alla Casa Bianca c’è un bel sorriso e una bella storia. Ma contemporaneamente i professionisti del pessimismo e del pregiudizio negativo già all’opera. Sono quelli che godranno dei fallimenti di Obama, dei crimini (al momento eventuali) del boia Obama, del servo dell’uomo bianco alla Casa Bianca, che ovviamente non pagheranno sulla loro pelle ma pagherà qualche popolo del sud del mondo con il quale con truci parole vuote solidarizzeranno.

Sono quelli di (presunta) sinistra ma ci sono e sono più numerosi quelli di destra, quelli che non fanno alcuna autocritica sulla lunga notte del neoliberismo e poi del neoconservatorismo e al più scaricano le loro responsabilità su George Bush, l’ultima ruota del carro. Più di tutti oggi mi viene in mente Mario Vargas Llosa. Mi viene in mente quell’infame articolo con il quale sosteneva che i veri razzisti erano quelli che celebravano l’elezione alla presidenza della Bolivia di Evo Morales in quanto indigeno e mi domando perché Vargas Llosa oggi non scrive che i veri razzisti sono quelli che celebrano Obama in quanto nero. Servo nell’anima, Vargas Llosa non ha il coraggio di scriverlo un pezzo del genere sull’inquilino della Casa Bianca. E’ lui il simbolo del colonialismo mentale identico a quello dei molti che anche in Italia pensano che “right or wrong” all’America è più conveniente dare sempre ragione!

Gli spazi di manovra di Barack H. Obama alla testa del complesso militare-industriale più terribile della storia dell’umanità sono stretti. Eppure non si può vivere senza sperare che quest’uomo così carico di simboli di cambiamento non rappresenti anche fatti reali di cambiamento. Tutti hanno il diritto di sperare che il proprio paese o il proprio pianeta sia redimibile e che quindi oggi cominci un’epoca migliore. E se perfino gli Stati Uniti di George W Bush possono eleggere un figlio d’immigrati alla presidenza e iniziare un cammino e un giorno nuovo, vuol dire che neanche l’Italia di Silvio Berlusconi è irredimibile.