La vedova di Nicola Calipari al Ministro Antonio Martino: “Vergognati”

Rosa Calipari è seduta al fianco del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, durante il discorso del Ministro della Difesa (Forza Italia) Antonio Martino, mentre quest’ultimo attribuisce all'”oscuro disegno del fato”, la morte di Nicola, suo marito. E’ la cerimonia per ricordarlo ad un anno dalla morte. Si svolge alla sede del Sismi di Forte Braschi ed è stata appena scoperta una stele in suo onore. Martino termina di parlare, Rosa Calipari gli si avvicina terrea in volto e lo apostrofa con un inequivocabile: “Vergognati”.

E’ andato così oltre il comportamento omissivo di Antonio Martino da scegliere proprio la commemorazione di Nicola Calipari per assolvere definitivamente i suoi assassini. E’ andato così oltre che perfino il vice presidente del consiglio Gianni Letta, deve smorzare e quasi correggere il suo collega di partito, ricordando che il fato non esiste è che è “responsabilità degli uomini agire per conoscere” la verità.

Ci si domanda di quale governo è ministro Antonio Martino, che si vanta di essere il più atlantista degli italiani. Ci si domanda nelle mani di quale presidente abbia giurato come tale. Ci si domanda se c’è un problema di “doppia fedeltà” o se Martino di fedeltà ne abbia una sola. E’ il terzo episodio in 48 ore nel quale dobbiamo farci la stessa inquietante domanda. Il Ministro guardasigilli Roberto Castelli (Lega Nord) non ha mosso un dito per permettere ai magistrati che hanno incriminato Mario Lozano (se esiste) per omicidio volontario di Nicola Calipari, di effettuare la rogatoria richiesta. Lo stesso ministro, 48 ore fa è stato ufficialmente accusato dal Consiglio d’Europa di ostacolare apertamente le indagini sul sequestro nella pubblica via a Milano e la sparizione del cittadino egiziano e rifugiato politico Abu Omar per il quale sono attualmente ricercati 13 agenti della CIA tra i quali l’ex-console statunitense a Milano Bob Lady. Castelli non si è neanche adoperato per la richiesta di rogatoria internazionale, un atto dovuto. Interpellato, il ministro in camicia verde, ha farfugliato in un dialetto poco comprensibile rivendicando che suo compito è preoccuparsi di prendere i terroristi e non chi dà loro la caccia. Delle due l’una: o purtroppo Roberto Castelli non ha gli strumenti culturali per capire che il suo compito è far rispettare le leggi dello stato italiano (che proibiscono di sequestrare persone in strada) o un Ministro della Repubblica non risponde alle leggi italiane ma alle leggi di un altro stato. E saremmo retorici se ci domandassimo a quali leggi e a quale stato rispondono sia Castelli che Martino.

Dunque il Ministro della Difesa e il Ministro Guardasigilli non rispondono alle leggi dello Stato al quale hanno giurato fedeltà, ma in pochi si sconvolgono. Le cronache raccontano che Ciampi abbia stretto forte il braccio di Rosa Calipari in quel momento, ma poi non risultano dichiarazioni del Presidente della Repubblica in merito. Tuttavia la risposta di Gianni Letta ad un ministro importante del suo partito, testimonia che questo problema è sentito anche da spezzoni del governo e che perfino il capo del governo Silvio Berlusconi ne è messo in difficoltà tanto da usare il suo uomo più vicino per stemperare.

Fin da quei giorni di un anno fa avevamo scritto che sul caso Calipari si giocava il sistema di doppia fedeltà sul quale si regge questo paese e che tra Bush e Berlusconi tutti avrebbero buttato dalla torre Silvio nostro. E Silvio lo sa bene. Nell’immediatezza della morte di Nicola Calipari, Silvio Berlusconi si comportò con dignità. Poi, una volta accortosi di essere stato immediatamente sorpassato da Gianfranco Fini (Alleanza Nazionale) nella supinità verso il governo degli Stati Uniti, fece macchina indietro.

In I media italiani, Nicola, Giuliana, Silvio e l’atlantismo, il 7 marzo 2005, e chiedo scusa se mi cito, avevo scritto:

[…] Si priorizza l’interesse all’assoluzione preventiva dei presunti autori materiali, all’interesse della famiglia Calipari e dello stesso governo.
Fa riflettere il fatto che in qualunque contesto avvenga un fatto di sangue che coinvolge nostri corpi dello stato, il sistema fa quadrato e questi risultano avere sempre ragione: Pinelli si è buttato dalla finestra, Giorgiana Masi si è suicidata, Carlo Giuliani ha avuto quello che meritava.

Questa regola ammette una sola eccezione: la fedeltà atlantica. Di fronte all’atlantismo tutto salta, i morti di Ustica e quelli del Cermis se la sono cercata e il fuoco amico è così amichevole da dovere essere accolto con sportività. Sul povero Calipari si può costruire una stantia retorica patriottarda, che salva capra e cavoli, e che vada incontro alla giusta emotività popolare. Ma, come per i macchinisti dei treni che quando muoiono in servizio è sempre per colpa loro, la morte di Calipari deve essere stata casuale e, se dovesse essere necessario, dovuta alla sua imperizia o ad una politica del governo sbagliata. […]

Era subito stato chiaro che sulla morte di Calipari ci fosse un vulnus, che la sua fosse una morte imbarazzante, una morte che si vendeva male sull’altare della Patria, mentre invece la retorica si spendeva a larghe mani per i morti di Nassiriya e perfino per il mercenario Fabrizio Quattrocchi. Le loro morti non erano imbarazzanti, anzi erano perfino utili alla costruzione enfatica della missione di pace. Quella di Calipari no. Quella di Nicola era una morte stridente che aveva il vulnus di essere stata prodotta dal “fuoco amico”. Ad un anno di distanza ci ritroviamo al punto di partenza: corpi dello stato che si fronteggiano rispetto a livelli sfalsati di fedeltà ma dove un partito insabbia e l’altro, al massimo, abbozza. Tra le figure retoriche più usate c’è quella del “senso dello Stato”. Già, ma di quale Stato?