I misteri di Mumbai

mumbai Per quei due o tre che non lo conoscessero suggerisco l’eccellente blog di Emanuele Giordana, direttore di Lettera 22, conduttore di Radio3Mondo e ainda mais e uno dei giornalisti italiani più profondi conoscitori dell’Asia. Ecco le sue chiavi di lettura sui fatti di Mumbai (gc).

Da dove è arrivato l’ordine dell’attacco al cuore dell’India? Una chiave regionale può aiutare a comprendere i motivi e individuare i responsabili di una vera e propria azione di guerra che esce dagli schemi classici dell’attentato kamikaze o dalle logiche di guerriglia mordi e fuggi cari a Osama bin Laden.

Col lento rasserenarsi della tensione in Kashmir tra India e Pakistan, dal 2003 si è assistito a un’emigrazione di guerriglieri attivi nella regione contesa, e che in molti casi avevano ricevuto un training dagli agenti dei servizi segreti pachistani in chiave anti indiana, che si sono spostati nelle aree tribali del Pakistan al confine con l’Afghanistan. Sono portatori, ha scritto l’analista pachistano Syed S. Shahazad, oltre che di fervore ideologico, di tecniche militari raffinate, di cui forse, aggiungiamo noi, abbiamo visto qualcosa nelle tragiche giornate di Mumbay. Parte di questa milizia, che si riconosce nell’Harakat ul-Jihad-e-Islami di maulana Kashmiri, o in altri gruppi attivi nel Kashmir, si salda coi militanti islamisti “stranieri” presenti nelle aree tribali e allevati alla scuola del qaedismo e con il Tehrik-e-Taliban di Baitullah Meshud (accusato della morte della Bhutto e dell’attentato al Marriott del 2008).

Nel 2007 questa rete è già ben consolidata e si è nutrita dell’arrivo di ex militari che si sono sentiti traditi dalla politica dell’ex presidente Musharraf, ritenuto un rinnegato amico degli Usa. La presenza di capi milizia, come Baiatullah Meshud o Sirrajudin Haqqani (il figlio del vecchio mujaheddin Haqqani e ritenuto tra gli ispiratore dell’attacco all’hotel Serena di Kabul nel gennaio 2008) non è però solo il pilastro di una mera opzione militare: nei territori tribali, che sfuggono a ogni controllo di Islamabad, nascono circoli di dibattito con incontri di teologia e confronto sulle tesi del jihad globale.

E’ forse in questo brodo di coltura che vecchi spezzoni dei servizi segreti pachistani ed ex militari islamisti che si sentono emarginati, hanno lavorato alle vicende di queste ore con la truppa radical-islamica. Perché? Al centro c’è forse il rapporto tra India e Pakistan. Quando si apre uno spiraglio che può raffreddare la tensione tra i due paesi, scoppia sempre una bomba, una catena di attentati una strage. E adesso? Alle vigilia di Mumbai ci sono le dichiarazioni del presidente del Pakistan Asif Ali Zardari che ha lanciato un segnale distensivo all’India. Ha detto che il Pakistan è pronto a rinunciare al diritto di colpire per primo, con l’arma atomica, in caso di rischi per la sovranità nazionale. Ha proposto una sorta di unione economica per favorire l’interscambio commerciale tra i due paesi e una nuova politica di visti e permessi per facilitare le visite tra India e Pakistan. Inoltre Zardari sta procedendo allo smantellamento della sezione politica dell’Isi, lo stato nello stato su cui Islamabad vuole riprendere autorità. C’è n’è abbastanza per suscitare una reazione forte e per scegliere il momento di mettere in atto un piano in piedi forse da mesi. Proprio mentre il ministro degli Esteri pachistano sta andando a Delhi per parlare di pace.

Sono ipotesi, naturalmente, che potrebbero essere smentite dalle indagini. Ma tutto fa quadrato attorno al sabotaggio di qualsiasi iniziativa che possa rasserenare i rapporti tra India e Pakistan e mettere in pensione gli attivisti dei servizi segreti che, sia in Pakistan sia in India, sono sempre pronti ad accusare il paese confinante per tenere alta la tensione e vivere di rendita su uno stato di perenne allerta. Una partita che si gioca sul filo del terrore e su una frontiera che vede confrontarsi due paesi dotati dell’arma nucleare.