Mariastella Gelmini: “Università pubblica: non faremo prigionieri”

einstein_ar Nel 2009, per la prima volta in 800 anni di storia, e come mai è successo al mondo, nessun nuovo ricercatore prenderà servizio in Italia. In nessun ateneo e in nessuna disciplina.

Mentre in tutto il resto d’Europa e del pianeta si investe di più in ricerca, da noi fino a fine legislatura è stato programmato solo di tagliare. Teste. Teste giovani. Teste pensanti.

Ecco come nell’Università di Mariastella Gelmini il lento declino è divenuto un crollo verticale per l’Università e la ricerca scientifica pubblica in Italia.

Immaginate un laboratorio universitario in Farmacia dove si fa ricerca sul cancro. Immaginate che vi lavorino cinque tra professori e ricercatori di ruolo. Con la legge 133, approvata il 6 agosto in un’aula sorda e grigia e in un paese in vacanza, nessuno dei loro collaboratori precari, per quanto indispensabili e meritevoli, potrà entrare in ruolo senza che TUTTI i cinque già strutturati non vadano prima in pensione. Ergo: quel laboratorio è destinato a chiudere e il precario meritevole deve andarsene a vincere il Nobel negli Stati Uniti.

E’ questo l’effetto della scellerata applicazione del blocco del turn over sul pubblico impiego alla docenza universitaria. Non si vivacchia, non si tira più a campare; questa volta è scoppiata la bomba atomica. Da qui alla fine della legislatura il numero dei docenti universitari italiani si contrarrà di almeno 8.000 unità (-13% e più del doppio degli esuberi Alitalia) ma nessuno se ne scandalizza. Anzi, succederà con il plauso dell’opinione pubblica teleguidata a caccia del fannullone e lo sberleffo del Gian Antonio Stella di turno, che sguazza facendo soldi calunniando chi lavora equiparandolo all’impunito, al corrotto, all’incompetente, al nepotista.

La draconiana controriforma Gelmini è una giocata demagogica che colpisce l’Università indiscriminatamente. Il giusto per il peccatore, le discipline in soprannumero come quelle strategiche, l’eccellenza come lo svacco. Taglia le scienze esatte come le umanistiche. I giovani brillanti ma non i vecchi baroni. Altro che meritocrazia! L’obbiettivo apertamente dichiarato, “dobbiamo tagliare”, è portare l’Università pubblica alla paralisi e preparare il terreno alla grande riforma della privatizzazione ch’è nero su bianco nella stessa 133.

Finora i governi di centro-destra e centro-sinistra alternatisi negli ultimi anni, con i ministri Berlinguer, Moratti, Mussi, avevano almeno riconosciuto che il reclutamento di nuovi ricercatori fosse fondamentale per il nostro paese. L’obbiettivo deciso dalla UE a Lisbona vincolerebbe l’Italia entro il 2010 a raggiungere il 3% di prodotto interno lordo dedicato alla ricerca. E’ il minimo per non regredire nel sottosviluppo. L’Italia è ferma all’1% ed ha la metà dei ricercatori e docenti della media dei paesi europei, 2,7 contro 5,1 ogni mille abitanti. Sono numeri catastrofici ma che rimpiangeremo già da domani.

Se l’Italia volesse essere in media con l’Europa (già indietro a USA e Asia) dovrebbe avere 117.000 persone strutturate. Invece il personale strutturato è di appena 62.000 unità e la legge 133 lo farà scendere nel 2012 a 54.000. E siccome la 133 è vessatoria soprattutto verso i giovani, chi resterà avrà un’età media altissima: 55 anni, contro i 41 della Spagna e i 42 della Gran Bretagna.

Facciamola breve con i numeri. Il Sole24ore commenta trionfalmente che il governo finalmente metta un freno alla bulimia dell’università. Balle! E’ un esercizio retorico di demonizzazione che nasconde la realtà. Dei 5.204 concorsi banditi nel 2008, 3.327 sono per nuovi ricercatori. Gli altri 1.800 sono avanzamenti di carriera in un paese dove non è reato il falso in bilancio ma è molto malvisto il voler progredire. Ebbene con 1984 pensionamenti la legge 133 stabilisce che appena 397 vincitori di concorso su oltre cinquemila prenderanno servizio nel 2009. E quasi tutti i 397 fortunati, in un paese di 60 milioni di abitanti –elementare legge del più forte- saranno avanzamenti di carriera. Escono i vecchi e non vengono fatti entrare i giovani.

Il 2009 sarà dunque il primo anno in 800 anni di storia dell’Università nel quale nessun giovane (o al massimo una decina di panda raccomandatissimi) entrerà in servizio. L’Italia sarà il primo paese sviluppato al mondo a compiere un passo così grave. I concorsi sono truccati? L’università italiana ha problemi gravi? Il governo non ripulisce il sistema e butta il bambino con l’acqua sporca, bloccando la vita dei meritevoli. La legge 133 proprio sulla meritocrazia mette infatti la pietra tombale e un vincitore di concorso dovrà aspettare il 2013 per entrare in ruolo. Nel frattempo? Posto non c’è più per nessuno, in maniera indiscriminata. Fa così schifo l’Università italiana che un 6 d’agosto qualsiasi ne è stata eseguita l’eutanasia comunicando la notizia ad esequie avvenute?

Il fatto è che, sempre per la legge 133, le Università, nella loro autonomia, potranno scegliere se rimanere pubbliche e languire come post-Licei di pessima qualità, oppure privatizzarsi trasformandosi in Fondazioni. Si saranno così liberate del costituzionale diritto allo studio e si finanzieranno con fantomatici investimenti privati oltre che con quote d’iscrizione all’americana, da 10 o 20.000 Euro l’anno.

Gli atenei che rimarranno pubblici saranno assediati come nel Medioevo: senza fondi né strutture, con un personale invecchiato, che non fa più ricerca perché oberato di docenza, con stipendi che non recuperano neanche l’inflazione e senza alcuna possibilità di carriera né per i docenti né per gli studenti. Questi, senza più valore legale del titolo di studio saranno a tutti gli effetti dei laureati di serie B.

L’università privatizzata intanto, 10 o 15 in tutto il paese, ritrasformata in università classista (ma con i figli della vera classe dirigente già andati tutti a studiare all’estero come avviene da sempre nel terzo mondo), sarà così docile e funzionale e forse perfino efficiente. Ma fuori ci saranno solo macerie.