L’Unità, George Best e i loro vent’anni

Chi ha visto la prima pagina dell’Unità di oggi, avrà notato l’accostamento tra un bel box pubblicitario e il lancio in prima degli articoli sulla morte dell’ex-calciatore George Best.

E’ insolito che la prima pagina di un gionale a tiratura nazionale -di passaggio ricordiamo che fu fondato da Antonio Gramsci- abbia in prima pagina la pubblicità di una casa di riposo. Eppure l’Unità di oggi pubblicizzava proprio una casa di riposo. Dev’essere una bella casa di riposo, difatti se ne magnifica la “classe”, sicuramente in un senso diverso da quello che considerava “classe” Gramsci. Cotanta classe al modico prezzo di 7 milioni al mese più IVA.

Non è questo che ci colpisce, e poi, suvvia, chi non ha 7 milioni al mese oggigiorno? Ci colpisce quest’accostamento tra la pubblicità della casa di riposo e la morte di George Best. Non solo l’Unità, ma tutti i giornali, non fanno che dire che con la morte di Best se ne va un pezzo dei “nostri” 20-25-30 anni secondo i casi.

Nostri di chi? Evidentemente di chi oggi ha dai 60 ai 70 ed è così autoreferente da pensare che tutto questo paese -nonostante la denatalità- debba avere dai 60 ai 70 e lo stesso evo di idee. Il fatto curioso è che ai tempi di George Best -poveraccio- la televisione era in bianco e nero e del calcio straniero passava si e no la finale di Coppa dei Campioni. Ovvero i settantenni odierni evidentemente cominciano ad avere dei refusi di memoria, perché il Manchester United l’avranno visto giocare al massimo una o due volte e non hanno passato la giovinezza con le imprese di Best ma, semmai con quelle di Rivera, Mazzola, Sivori e Altafini.

L’imposizione della propria memoria generazionale come se fosse un patrimonio condiviso è un fatto grave in un paese che fa della mancanza di ricambio generazionale uno dei problemi più pesanti e occultati. Perfino un cinquantenne Best non l’ha mai visto giocare. Meglio sarebbe stato proporne la scoperta e non imporlo alle nuove generazioni come memoria universale.

Ma in un paese dove TUTTA la classe dirigente ha fatto il 68 (da Ferrara a D’Alema) e TUTTA la classe dirigente è stata comunista (da Ferrara a D’Alema) e poi TUTTA la classe dirigente (da Ferrara a D’Alema) è diventata rabbiosamente anticomunista, se non hai fatto il 68, non sei stato anticomunista e poi non sei diventato il più anticomunista di tutti, non puoi far parte della suddetta classe dirigente. Il rischio di asfissia per chi nel 68 non era nato o andava all’asilo e Best non l’ha visto giocare, è forte. Eppure l’agenda la fanno loro, i sessanta/settantenni ed impongono perfino la memoria collettiva. Nei media o sei una velina ventenne, o sei un signore settantenne che la sa lunga su come va il mondo e alternative generazionali non ve ne sono. In politica sono perfino meno ipocriti e non solo il 9 aprile 2006 avremo due candidati settantenni (in Gran Bretagna e Germania il capo del governo è nato negli anni ’50 ed in Spagna negli anni ’60), ma Rutelli è un “bel giovine” e la Prestigiacomo una lattante che piange e va zittita.

Questi sessanta/settantantenni pacificati e benestanti e che hanno un lavoro stabile da mezzo secolo, non solo stanno distruggendo il nostro stato sociale, e ci spiegano sdegnosamente che noi ad un lavoro stabile non abbiamo diritto, ma devono anche offrirci versioni edulcorate della loro visione di mondo per addomesticare le nostre. Ha fatto il giro del mondo la foto di Best in fin di vita con il suo ultimo messaggio edificante: “non morite come me”. Tutti si sono spellati le mani, anche se qualcuno scettico c’era su quel mieloso messaggio urbi et orbi, lanciato dai media mentre cerchiobotte Tony Blair coronava il sogno delle lobby dell’alcool di tenere aperti i pub in Gran Bretagna 24 ore su 24. Per esempio era scettico l’ex-abatino Gianni Rivera.

Quel messaggio era una bufala come ha confermato un ex-compagno di squadra di Best, ultimo a parlare con lui prima del coma finale: “la foto è stata estorta e l’ultima cosa che mi ha detto è stata che rifarebbe tutto da zero e che gli è piaciuto vivere e morire come gli è parso”. Non è certo un messaggio edificante ma è confermato anche dall’ultima intervista rilasciata da Best a Montecarlo a fine ottobre: “La mia e’ stata una vita bella. In fondo, ho fatto tutto ciò che mi andava, e oggi rifarei tutto allo stesso modo”.

Dunque Best non si è cosparso il capo di cenere in articulo mortis. La smentita non ha fatto il giro del mondo e non lo farà. E la stampa britannica, pessimi tabloid o peggiore Economist, ha sempre ragione soprattutto vista dall’Italia.

Così i nostri bravi nonni, con Best vedono andar via un pezzo dei loro venti o trent’anni e non hanno altra chiave di lettura (perfino quella dell’alcolismo resta in ombra). Anche quando andrà via Andreotti o Totò Riina o Pippo Baudo andrà via un pezzo della giovinezza di qualcuno, e allora? I nonni che dettano legge in redazione, mentre si guardano in giro cercando sull’Unità una buona casa di riposo (di classe) dove vivere fino a cent’anni circondati dall’affetto dei nipotini -loro- e dalla gratitudine dei nipotini di tutti gli altri, tra un messaggio edificante ma falso e un messaggio maledetto ma vero, non hanno dubbi sullo scegliere il falso.

Resta da chiedersi quale dei due messaggi avrebbero scelto i ventenni del ’68. Quello falso ma edificante o quello maledetto ma vero? Ma la memoria fa brutti scherzi e non lo ricordano più.