Succede che la Repubblica abbia pubblicato in queste settimane una serie di clamorosi scoop in America, straordinarie interviste esclusive ad Álvaro Uribe, Hugo Chávez, Gabriel García Márquez e addirittura al nuovo capo delle FARC, l’inafferrabile Alfonso Cano. Succede che sembra proprio che fossero tutte false.
Chi ha seguito il nostro lavoro di questi anni comprenderà che l’articolo che segue di Maurizio Matteuzzi ha innanzitutto causato sincere, incontenibili risate in questa casa. Ma quella è stata solo la prima reazione. La seconda, una volta appurato che al 99% la denuncia di Maurizio Matteuzzi del Manifesto, che segue, sia stata semmai prudente e che sia tutto vero, è la profonda vergogna verso il quotidiano La Repubblica e per la continua disinformazione sull’America latina che da anni propone il principale giornale di area centrosinistra in Italia.
Chi conosce il lavoro fatto in molti anni in questo sito sa che da sempre ci adoperiamo a denunciare l’inaffidabilità, la pretestuosità, la malizia quando non l’aperta malafede con la quale La Repubblica copre i fatti dell’America latina. La terza reazione è la preoccupazione per lo stato nel quale versa il giornalismo in Italia. Questo gravissimo incidente non è un’infortunio né un caso ma è la diretta conseguenza di una maniera di fare informazione e di una maniera deviata di pensare (e voler far pensare) il Continente.
Oltre all’articolo tutto da leggere di Matteuzzi si può vedere la smentita ufficiale del governo colombiano citata dall’ottima Annalisa Melandri e si può ascoltare l’intervista al sedicente impiegato della Liquigas e folkloristico giornalista de La Repubblica Jordi Valle.
Siamo in attesa di scuse convincenti e pubbliche di Ezio Mauro ai suoi lettori. Temiamo di dover aspettare a lungo.
gc
Maurizio Matteuzzi sul Manifesto
Chapeau a la Repubblica, anzi al Venerdì di Repubblica. In metà anno ha fatto una serie di scoop strabilianti.
In sequenza: il 18 gennaio un incontro-intervista con Gabriel Garcia Marquez a Cartagena, notoriamente non facile da avvicinare; il 9 maggio un’intervista al venezuelano Hugo Chavez nel palazzo di Miraflores a Caracas; il 6 giugno un’intervista «in un luogo segreto della foresta amazzonica» con i due leader massimi delle Farc dopo la morte di Tirofijo, Alfonso Cano e Mono Jojoy; l’11 luglio incontro-intervista, in un luogo imprecisato di Bogotá, forse lo stesso palazzo presidenziale di Nariño, con il presidente colombiano Alvaro Uribe, l’eroe della cinematografica liberazione della Betancourt di qualche giorno prima (il 2 luglio), un altro che per avvicinarlo bisogna sputar sangue;
il 18 luglio in un luogo imprecisato della selva forse in Colombia forse in Ecuador, un nuovo incontro-intervista con Alfonso Cano nel giro di un mese. Straordinario, considerato che mezzo mondo cerca Cano, a cominciare dagli efficientissimi reparti anti-guerriglia di Uribe. E che, a quanto si sa Cano sono (erano) 8 anni che non dava interviste.
Scoop che si devono tutti a un solo uomo. Jordi Valle si chiama, un ingegnere petrolifero che è nato in Catalogna ma vive sul lago di Como e «scrive per divertimento» (lo dice lui). Un amateur quindi, ma uno che, a quanto si legge nelle sue interviste, conosce ed è conosciuto. «Ti trovo sempre bene, don Gabriel», dice a Gabo. «Gli ricordo che…» fa a Uribe. Chavez «lo interrompiamo per chiedergli…». Il Mono Jojoy lo «aspetta davanti a una birra». Intimità e autorevolezza, capacità di trovare e avvicinare in qualsiasi momento gente che i giornalisti di mezzo mondo (e in qualche caso anche i servizi segreti) non si sognano nemmeno di poter localizzare e avvicinare.
Roba da rosicare dall’invidia.
Cappello. Anche se – a nostro modesto parere – la Repubblica non li ha sfruttati come avrebbe dovuto, visto il timing straordinario di quegli incontri-intervista con personaggi di cui tutto il mondo stava parlando in quel momento. Anziché «spararli» sul quotidiano, l’ammiraglia della flotta li ha relegati – quasi volesse nasconderli – sul Venerdì. Non solo ma su nessuno di loro, eccetto l’ultimo, ci ha fatto la copertina, «sprecandoli» nelle pagine interne.
I colombiani, invidiosi anche loro, non ci stanno. Caracol, forse la radio più autorevole dell’America latina, dice di aver parlato con Valle al telefono e di aver concluso che è «un mitomane». L’ambasciata colombiana a Roma ha smentito l’intervista a Uribe, precisando che il presidente non concede interviste a nessuno da molti mesi. La stessa presidenza della repubblica colombiana (www.presidencia.com.co) ha addirittura diffuso venerdì scorso un comunicato in cui sostiene di aver scritto una lettera alla direzione di Repubblica già l’11 luglio per precisare che «il Presidente Alvaro Uribe non ha mai fatto le false dichiarazioni» attribuitegli dal «giornalista Jordi Valle». Anzi Uribe sostiene «di non aver mai incontrato il signor Valle né di avergli concesso alcuna intervista» e intigna ancora affermando che «il signor Valle dal 2002 non ha mai messo piede alla presidenza della repubblica». E non solo a Palazzo Nariño: dai registri di migrazione del Das, il Dipartimento amministrativo di sicurezza, non risulta che qualcuno «che dice di chiamarsi Jordi Valle sia mai entrato in Colombia».
Chissà che prima o poi non si faccia vivo anche Alfonso Cano.