Per il pregiudicato sindaco di Verona Flavio Tosi, condannato in via definitiva per crimini legati al razzismo, i tifosi dell’Hellas Verona, che da decenni infangano l’Italia con i loro deliri discriminatori, sono dei “ragazzi”.
Si duole Tosi per i cori insultanti contro il giocatore del Livorno morto, ma allo stesso tempo giustifica la propaganda razzista e neofascista che da quella curva viene. Difende inoltre l’allenatore di quella squadra Mandorlini, un professionista ultracinquantenne, da anni impegnato nel gettare benzina sul fuoco dell’odio razziale intra-italiano.
Intanto il giornalista della RAI3 Piemonte Giampiero Amandola sostiene dai microfoni del servizio pubblico, che “i napoletani si riconoscono dalla puzza”. Amandola, che addirittura nel video istiga chiaramente gli ultras juventini a pronunciare frasi razziste, commettendo così un “crimine d’odio” sanzionabile dal codice penale italiano, è un professionista dell’informazione e non lavora per Radio Padania ma per il servizio pubblico, per il quale chi scrive paga il canone. Ogni ora che passa senza che si prendano sanzioni nei suoi confronti fa salire la catena delle connivenze razziste e delle responsabilità verso l’alto, capiservizio, direttori, dirigenti, passando dal Piemonte a Roma, e testimonia che il problema non è il calcio, il problema è l’accettazione supina di una cultura discriminatoria dominante in Italia.
L’infame servizio razzista trasmesso dalla RAI, mandato in onda “per la fretta”, dicono, non è uno scivolone del professionista dell’informazione Giampiero Amandola ma rappresenta esattamente la cultura dominante dell’Italia attuale. Un paese dove nessuno è in grado di far rispettare la grida manzoniana sui cori razzisti negli stadi –per la quale tali berci dovrebbero comportare la sospensione della partita- perché è una misura ipocrita che nessun arbitro avrà mai il coraggio di prendere (contro la squadra più potente d’Italia poi…) e perché gli stadi sono solo una sentina dell’apartheid oramai istituzionalizzata, accettata, rivendicata come soluzione ai mali del paese.
L’Italia da 151 anni si bea sul pregiudizio razzista per il quale esisterebbero italiani inferiori e italiani superiori. Chi è nato al di sotto di un certo confine immaginario sarebbe irredimibile tanto che non sarebbe degno, per esempio, di insegnare nelle scuole di chi è nato al di sopra di quel confine. Per oltre un secolo la religione civile, sulla quale è stato costruito il meglio della nostra civiltà, ha evitato che il razzismo anti-meridionale fosse apertamente rivendicabile. I razzisti esistevano ma non trovavano tornaconto politico al manifestarsi pubblicamente. Oggi non è più così. La religione civile della costruzione della nazione non esiste più perché il modello dominante, il prevalere dell’economia sulla politica, esige che non esista più un futuro collettivo ma solo individuale e individualista. È ciò che permette a milioni di Mastro Don Gesualdo, accecati dalla roba come fine ultimo dell’esistenza, di liberare i loro istinti razzisti senza più freni inibitori.
L’intero Nord Italia è da molti anni nelle mani di un partito di estrema destra xenofoba che fa della rivendicazione della discriminazione razziale il proprio unico capitale politico. O si tratta l’apartheid leghista (anti-meridionale e anti-migranti) come un fenomeno eversivo da combattere, quale è sempre stato, oppure (va denunciato con prudenza ma responsabilità) siamo su di un crinale per il quale in Italia, più prima che poi, non potrà non scorrere sangue. I migranti stanno già da anni pagando con la vita, nel disprezzo e nel terrore generale di guardare in faccia alla realtà discriminatoria che ci circonda e combatterla sistematicamente mettendo i razzisti, chiunque speculi sul razzismo, in un angolo e rimandandoli nelle fogne della storia dalle quali sono stati fatti uscire. Oggi come sempre i media di regime giustificano il razzismo da stadio riducendolo a scherzo, teste calde, rivalità strapaesana. Ma se pensiamo che tutto ciò accada per una partita di calcio non abbiamo capito nulla.