TG1 RAI – Dall’operaio Lula alla guerrigliera Dilma, così il Brasile svolta nella continuità

dilma_sp Questo commento è stato pubblicato dal TG1 RAI. Leggi anche il mio bilancio su otto anni di Lula pubblicato da Liberazione (gc)

Nel raccontare la campagna elettorale brasiliana il quotidiano conservatore argentino “La Nación” definisce il Brasile “la grande nazione progressista” e ciò rammenta la scritta che campeggia sulla bandiera verde-oro: “ordem e progresso”. Un ordine e progresso che i vecchi positivisti di fine ottocento non pensavano potesse essere realizzato da un ex-operaio metallurgico, con un dito amputato sotto una pressa, Lula da Silva, che oggi con ogni probabilità passerà la mano ad una guerrigliera, Dilma Rousseff, incarcerata e torturata dall’ultima dittatura militare (1964-1985).

È nel contesto dell’ordine capitalista e del progresso socialista che Lula ha condotto per otto anni una rivoluzione che ha definitivamente collocato il Brasile tra le grandi economie mondiali. È nel rifiuto delle ricette neoliberali del suo predecessore Fernando Henrique Cardoso che Lula ha trovato la chiave di volta. Con lui, allo stesso tempo, le banche hanno guadagnato il sestuplo ma la povertà si è dimezzata, l’economia vola (+40% in otto anni) con uno stato che aiuta 50 milioni di persone ad avere un’opportunità e ne ha già tirati fuori 30 milioni dalla povertà.

Se c’è un momento di svolta nella presidenza Lula, un momento nel quale tutti i progetti e i sogni di una vita politica prendono forma e non smettono più di correre è tra la fine del 2005 e l’inizio del 2006. Governava da un paio d’anni e faceva benino. Ma erano in molti a considerarlo già un’occasione perduta. A metà del 2005 Lula da Silva, con il pieno accordo sia della Confindustria che dei movimenti sociali di sinistra del paese, disse no al progetto di George Bush di fare un solo mercato continentale di tutta l’America dall’Alaska alla Terra del Fuoco che fosse funzionale agli Stati Uniti. Quel giorno Lula, in alleanza con l’Argentina di Nestor Kirchner e il Venezuela di Hugo Chávez, si mise davvero alla testa del Continente facendo dell’integrazione latinoamericana il grimaldello dello status del Brasile e del suo essere leader mondiale.

A gennaio dell’anno dopo vi fu poi il punto di non ritorno che ha cambiato la storia e reso quella che avrebbe comunque potuto essere una buona presidenza in una svolta nella storia del paese e forse dell’intero Sud del mondo. Nel giro di 24 ore, in maniera concertata, sia Argentina che Brasile chiusero i loro conti con il Fondo Monetario Internazionale, saldando tutti i debiti con questo organismo. “Non abbiamo più bisogno dei vostri consigli interessati” dissero sia Lula che Kirchner mettendo fine a quasi mezzo secolo di “sovranità limitata”.

La stampa economica di tutto il mondo predisse sfracelli, che non avvennero. Il Brasile, liberandosi della tutela dell’FMI era finalmente e definitivamente adulto e poteva cominciare a volare.

Oggi Lula passa la mano con un’approvazione dell’80% e solo un brasiliano su 20 considera il suo un cattivo governo. Oggi, in una campagna definita noiosa, chiusa con la candidata di Lula sulla soglia del 50% e con una ventina di punti di vantaggio sul principale rivale, tutti e tre i candidati principali facciano a gara a contendersi non il centro ma la sinistra politica verso la quale si è spostata l’egemonia culturale e politica del paese.

Infatti i tre candidati alla successione di Lula da Silva fanno infatti a gara a chi si definisce più di sinistra. Dilma Rousseff, la favorita e delfina di Lula, è del Partito dei lavoratori (PT). Il moderato José Serra ostenta un pedigree radicale per il suo partito socialdemocratico (PSDB). L’outsider Marina Silva mette nel motore del suo PSOL le parole Verde, Socialismo e Libertà.

Vincerà, oggi o al ballottaggio, Dilma Rousseff. Economista, 63 anni, militante non armata della guerriglia di Vanguardia Armada Revolucionaria, fu ingoiata per tre anni dal carcere della dittatura militare. È un passato che rivendica con orgoglio e che l’accomuna al neo-presidente uruguayano Pepe Mujica, anche lui ex-guerrigliero e prigioniero politico e oggi tra i leader della nuova America latina: “chi si deve vergognare è chi non si è opposto alla dittatura”. Sarà lei, Dilma, a continuare il volo della “grande nazione progressista”.

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