Marco Travaglio: nel processo Berlusconi-Mills la realtà degli ultimi 15 anni

«Beati quelli che, pur non avendo visto, crederanno». Lo dice Gesù all’apostolo Tommaso, che ha dovuto infilare la mano nella piaga del costato per credere nella resurrezione. Il processo Berlusconi-Mills (noto a tutti, grazie a un’informazione serva, solo come il «processo Mills»: si diceva il corrotto, ma non il corruttore) non ha nulla di spirituale né di trascendente.
È una sporca storia di corruzione, il paradigma del modus operandi di Silvio Berlusconi, presidente del Consiglio della Repubblica Italiana. Un grande corruttore che ha sempre comprato tutto e tutti, avendo sempre avuto la fortuna di incontrare gente comprabile. Il suo gruppo comprava la Guardia di Finanza perché chiudesse gli occhi sui libri contabili taroccati. Comprava politici, da Craxi in giù, in cambio di leggi à la carte. Comprava giudici, da Vittorio Metta in giù, per vincere cause civili perdute in partenza, come quella che scippò la Mondadori a De Benedetti per regalarla al Cavaliere.

Pagava persino la mafia, per motivi facilmente immaginabili. Per sapere tutto questo non era necessario attendere la sentenza di ieri: bastavano tutte le altre, emesse negli ultimi 15 anni nella beata indifferenza della quasi totalità della stampa e della totalità della televisione, per non parlare della cosiddetta opposizione. Ora il Tribunale di Milano ci informa che il Cavaliere comprò con 600 mila dollari anche un falso testimone, il suo ex consulente inglese David Mackenzie Mills (che gli aveva costruito un sistema di 64 società offshore), per garantirsi «l’impunità e i profitti» nei processi GdF e All Iberian.
Il tutto nel 1998-99, quando era già travestito da politico, aveva già guidato un governo e si accingeva a guidarne altri due. Ma anche questo si sapeva da anni. O meglio: lo sapeva chiunque volesse o potesse conoscere le carte del processo. La sentenza doveva semplicemente sanzionare una condotta già assodata. Perché uno dei due protagonisti, David Mills, aveva confessato tutto al suo commercialista Bob Drennan, in una lettera che pensava sarebbe rimasta top secret: «La mia testimonianza (non ho mentito ma ho superato curve pericolose, per dirla in modo delicato) aveva tenuto Mr B. fuori da un mare di guai nei quali l’avrei gettato se solo avessi detto tutto quello che sapevo. Nel 1999 mi fu detto che avrei ricevuto dei soldi. 600mila dollari furono messi in un hedge fund. A mia disposizione».
Purtroppo per lui (e per «Mr B.»), Drennan lo denunciò al fisco inglese, così la lettera finì sul tavolo dei pm milanesi. Interrogato, Mills confessò che era tutto vero, salvo poi ritrattare con una tragicomica retromarcia. La sentenza di ieri conferma un fatto notorio: il nostro premier è, per l’ennesima volta, un corruttore, per giunta impunito per legge. Ha comprato un testimone in cambio di una falsa testimonianza. Un reato commesso per occultarne altri, a loro volta commessi per nasconderne altri ancora. Ora che è di nuovo al governo, per garantirsi l’impunità non ha più bisogno di corrompere nessuno: gli basta violare la Costituzione con leggi come la Alfano, approvata e promulgata nell’indifferenza di chi avrebbe dovuto contrastarla e respingerla. La stessa indifferenza, salvo rare eccezioni, ha accolto un verdetto che in qualunque altro paese avrebbe portato su due piedi all’impeachment. Lo stesso silenzio di Mills. Che però, almeno, si faceva pagare bene.

http://www.unita.it/news/84917/in_quel_processo_la_realt_degli_ultimi_anni