Giampaolo Pansa: il grande bugiardo

E’ in uscita un’altra pansata. Questa volta si chiama addirittura La grande bugia. Le sinistre italiane e il sangue dei vinti, Sperling & Kupfer, 18 euro. La grande bugia sarebbe la Resistenza. Tra lo spellarsi le mani di tutte le destre passate e presenti, basta dare un’occhiata alle lodi del Giornale o del Tempo, Pansa ha “scoperto” le vulgate antiresistenziali di destra ed estrema destra. Le ha fatte proprie, pretende che siano verità rivelate e dogmi di fede. Le spaccia come frutto di un proprio cammino di purificazione e intima alla sinistra, alla comunità scientifica, a chiunque si sia occupato con professionalità e dedizione della guerra di Liberazione negli ultimi sessant’anni di ammetterlo: erano tutte balle inventate dai comunisti.

Per Pansa va buttato nella spazzatura il lavoro di sessant’anni di decine di storici professionisti. Ventila tra le righe che fossero tutti pagati dal Cremlino e che per esempio a Torino nel 1943 non ci siano stati scioperi, nessuna insurrezione nel 1945, “a noi c’hanno liberato l’americani” e chi ricorda anche i partigiani, ricorda male perché vuole ricordare male. Ci sciorina il suo microcosmo di Casale Monferrato dove i contadini “non ne potevano più dei partigiani razziatori” come se in Italia nel 1944 qualcuno potesse pretendere di fare la propria vita disinteressandosi della guerra e dell’occupazione.

Bisogna domandarsi se Pansa sappia per esempio chi sia Claudio Pavone, se conosca un lavoro come Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, ripubblicato quest’anno da Bollati Boringhieri, che lo aveva pubblicato originariamente nel 1991, che già 15 anni fa faceva con rigore scientifico il punto sull’uso pubblico della Resistenza da parte della sinistra comunista, e sul rapporto con gli sconfitti che per Pansa non dovremmo più neanche chiamare fascisti. Perché chiamarli fascisti è una maniera di levare loro voce (sic!).

Forse bisognerebbe ignorare l’oramai annuale almanacco antiresistenziale di Pansa, ogni anno più gridato e grossolano, che con la scusa di dare voce agli sconfitti finisce per riabilitare le presunte ragioni di questi, e debilitare le ragioni dell’antifascismo e della stessa costituzione repubblicana. Bisognerebbe ignorare quell’ “io, che pure sono di sinistra, devo ammettere che” sul quale Pansa costruisce il suo successo di vendite. Una formuletta ammiccante a destra che in conclusione vuol dire che noi eravamo uguali a loro, torturatori e torturati, occupanti ed occupati, pescecani e morti di fame, chi con il fascismo e la guerra ha fatto i soldi (eccola parte della zona grigia) e chi ha dato la vita per liberare l’Italia dal nazifascismo.

I comunisti volevano la Rivoluzione e sarebbero andati sui monti per questa. Combattere il fascismo era incidentale. Tutta la Resistenza sarebbe macchiata da questo peccato originale. Riuscire a far passare un ideale rivoluzionario, la speranza di un mondo migliore, una militanza generosa e spesso eroica, ricondotta sempre alla legalità repubblicana dai dirigenti del PCI, come un complotto criminale del quale i comunisti si sarebbero macchiati, è un’operazione di profonda malafede politica da parte di Giampaolo Pansa. Da Salerno alla Costituente e per tutta la storia del PCI, la realtà non è quella che si ostina a disegnare Pansa. La realtà è che nessuna insurrezione, nessun colpo di stato, nessuna rottura democratica è mai venuta dal PCI, né con la Resistenza, né nel dopoguerra, né successivamente, né negli anni ’70 con lo stragismo e la strategia della tensione, quando proprio il PCI ha rappresentato la pietra angolare della nostra democrazia.

Ma Pansa non fa lo storico, e neanche più il giornalista. Quindi può prescindere dalla realtà storica per riprendere ogni vulgata revisionista (nel senso deleterio del termine) ed affidarsi ai peggiori umori neri di questo paese. Pansa fa il polemista, non deve dimostrare una sola parola di quello che dice, e infatti non la dimostra. Gli basta appoggiarsi alla rivisitazione delle sue memorie giovanili per scegliere la sua redditizia nicchia di mercato e vendere in quella fetta di pubblico recettiva, nella quale si accomunano le destre di sempre e quelle sinistre che hanno capito come va il mondo. Se le penne di destra, fasciste e postfasciste, i Veneziani, i Tarchi, non hanno né credito né credibilità per scrivere bestseller antiresistenziali, un Pansa, spacciandosi come uomo di sinistra, ha il fisico del ruolo.

E Pansa si presta volentieri; oramai di mestiere fa la velina della vulgata antiresistenziale. Come le veline mostrano tette e curve così Pansa mostra il partigiano cattivo e il fascista che “c’aveva diritto di essere fascista” come l’italiano del 2006 ha diritto di essere xenofobo. Il Pansa antiresistenziale perché oggi la resistenza non va più di moda, rappresenta il peggior trasformismo di questo paese. Pansa, come pure le veline, mostrano ai loro rispettivi pubblici quello che vogliono vedere: tette, curve, partigiani cattivi e fascisti innocui. Non importa che veline e fascisti -ognuno nel suo specifico- siano il peggio di questo paese: hanno mercato.