Paradossi e paraocchi

Accusando chi la pensa in maniera opposta da noi (lo fanno in molti, per esempio Omero Ciai qui) di avere i paraocchi non porta lontano, ma il tema dei paraocchi su quanto sta avvenendo in America Latina mi interessa e c’è qualcosa di veramente strano sulla copertura delle questioni latinoamericane e cubane viste dall’Italia.

L’inviato principe di Repubblica, Bernardo Valli -per dirne uno, ma l’elenco è lungo- sono 17 anni che va in vacanza a Cuba a raccontare l’ultimo Natale o l’ultimo primo maggio con Fidel. Non voglio dire che vada a Cuba con i paraocchi, ma è chiaro che da 17 anni a questa parte sbagli tutte le previsioni.

Non mi risulta sia stato mai scritto un solo articolo su un grande quotidiano nazionale che abbozzi un’analisi sul tema: “guarda che strano, per 17 anni abbiamo detto che il crollo di Cuba era questione di ore, ma Cuba è ancora lì”. A me piacerebbe tanto che Bernardo Valli si cimentasse a spiegarci perché Cuba non è caduta. In fondo non è mica un Pierluigi Battista o un Gianni Riotta (povero TG1, farà rimpiangere Mimun). Omero, affezionato lettore di questo sito, se ti chiedo il favore di fare avere queste righe a Valli? Sarebbe interessante capire se almeno queste domande Valli se le pone.

E attenzione, dalla fame, alla prostituzione, alla repressione… tutto è stato detto e scritto (e a volte esagerato). Non credo sia necessario simpatizzare con Fidel per ammettere che le previsioni catastrofiste fossero tutte largamente sbagliate. Certo non era facile prevederlo all’inizio, ma col tempo… sarebbe stato dovere primario di un intellettuale intuire che le cose non andavano più in quella direzione, capire  e comunicarlo. Su Hugo Chávez successe più o meno lo stesso. Chi non conosceva Chávez ne era giustamente preoccupato o scettico. Anche chi scrive; ma ricordo che ebbi -era lo stesso ’98 o al massimo il ’99 a Buenos Aires- una lunga discussione con Stella Calloni che mi aprì gli occhi. Su Cuba (e su Chávez è lo stesso) tutto quello che di negativo potesse succedere alla rivoluzione cubana è stato previsto, scritto, sezionato. A volte succedeva davvero, a volte no, ma in questo caso quegli stessi che avevano fatto la previsione glissavano sul dire che si erano sbagliati. Quando a Cuba non c’erano i fili di sutura tutti lo scrivevano, adesso che Cuba esporta medicinali, tutti zitti. Come si spiega. E attenzione. Magari qualcuno può pensare che è falso che Cuba esporti farmaci ma allora metta le pile e faccia un’inchiesta sulle menzogne della farmacia cubana. Io so che sono stato curato da farmaci cubani esportati.

Insomma, tutto quello che in positivo stava facendo la rivoluzione cubana per non cadere (o doveva suicidarsi?) è stato sistematicamente ignorato. Ma non è stato ignorato per censurarlo, è ovvio che in Italia non c’è censura mentre a Cuba sì. E’ stato ignorato per autocensurarsi, per non allontanarsi dal mainstream, per far finta di non avere strumenti per spiegarsi -prima ancora che per spiegare- questa deviazione cosmica, rispetto alla fine della storia di Fukuyama, che la rivoluzione sia ancora lì.

Alcuni eventi positivi magari non erano facili da prevedere. Ma una volta successi hanno fatto finta che non fossero mai avvenuti. Non avevano previsto, per esempio, che Cuba uscisse dall’isolamento e che il fondomonetarismo dichiarasse bancarotta, sia economica che etica. E infatti c’è la più stretta censura su questi temi. Aspettavano i morti per fame a Cuba e invece ci sono stati nei paesi allievi prediletti dell’FMI. In Argentina, ch’è una sterminata pianura fertile piena di acqua potabile! Le vacche argentine, questo l’ho scoperto pochi giorni fa, per questioni climatiche producono 10-15 volte la quantità di latte che può produrre una vacca ai tropici! Eppure il latte era in Argentina che mancava!

Ma più di tutto mi stupisce che persone che non hanno i paraocchi non scrivano QUI ED ORA, un pezzo intitolato: “toh, dieci anni fa il Granma faceva il titolo a tutta pagina per annunciare l’arrivo di un viceministro dello Swaziland, mentre in questo momento a Cuba ci sono capi di Stato che rappresentano più di due miliardi di abitanti”. Oggi a Cuba per la cumbre del NOAL c’è il primo Ministro indiano Manmohan Singh, oltretutto sicurissimo democratico, del partito di Gandhi! Vogliamo veramente descrivere l’erede di Nehru come un collaborazionista del perfido Fidel? E’ più comodo glissare la notizia o non avere spazio. C’è Pervez Musharraf, dittatore del Pakistan, che democratico non è per niente, ma che ha relazioni carnali con George Bush! Trovo strabiliante tutto questo, quasi come trovo strabiliante che non sia uscita una sola riga sul fatto che Cuba, a fine luglio, abbia firmato un accordo commerciale con il Mercosur e che questo è il primo accordo commerciale che Cuba firma dalla morte del Comecon. Probabilmente qualcuno sosterrà che è un accordo irrilevante, ma perché sono stati usati fiumi d’inchiostro per descrivere l’isolamento di Cuba e adesso non viene scritta neanche una parola sulla fine (irrilevante?) dello stesso?

Lo domando di nuovo ad Omero Ciai, non è il caso di scrivere un pezzo sulla fine dell’isolamento internazionale di Cuba? Mica si può scrivere solo di quello che ci fa piacere.

La conseguenza paradossale di tutto questo è che le due cosette in croce che ho detto ieri mattina a Radio3mondo RAI, (c’è la registrazione qui), devono sembrare dette da un marziano a chi si informa in Italia, dalla TV alla stampa (dal Secolo d’Italia a Liberazione fa più o meno lo stesso). Non dico niente di straordinario, dico cose che sono patrimonio comune in tutti gli ambienti e paesi diversi che frequento in America Latina, universitari, giornalistici, ma non solo. Cose sulle quali ogni giorno in America Latina vengono scritti decine di articoli e pubblicati decine di libri l’anno, vengono sistematicamente tergiversate dall’Italia. A che pro? Alla fine penso che la spiegazione più facile sia la pigrizia mentale di chi scrive unita a quella di chi legge, ma questo tergiversare per me è veramente un mistero. Molto più misterioso del fatto che la rivoluzione cubana sia ancora lì.

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