Diletta Varlese, un’eccellente giornalista italiana che copre le rotte andine per la RAI ed altri media, ha posto due domande ad Ollanta Humala, candidato nazionalista contro il fondomonetarista Alán García al ballottaggio in Perú del prossimo 4 giugno. L’intero articolo può essere letto sul sito di Selvas. La figura di Ollanta, e la sua storia personale, è incomparabile con quella tutta democratica di Evo Morales, Lula da Silva, Hugo Chávez, Nestor Kirchner, Tabaré Vázquez.
A chi scrive la figura di Ollanta Humala appare più vicina a quella di Lucio Gutierrez, il candidato delle sinistre e della Conaie che poi scappò con la cassa, rivelandosi il più fondomonetarista di tutti. La storia della sinistra peruviana -la patria di Mariátegui, va ricordato- è purtroppo una storia di divisioni e di errori. L’ultimo fu quando appoggiarono il carneade più nippo che peruviano Alberto Fujimori per evitare lo stupro del Perú da parte di Mario Vargas Llosa. E Fujimori riuscì a fare almeno altrettanto male di quanto avrebbe fatto il candidato di Washington al quale -nel cuore della Casa Bianca- si sostituì rapidamente.
Tuttavia, ne scrive in maniera come sempre ottima la mia collega ed amica Mariana Contreras, inviata a Lima per il primo turno da Brecha, la canea informativa montata dalle destre mediatiche ed economiche contro Ollanta è impressionante e senza precedenti. Quindi, un uomo contro il quale viene convogliata una marea così montante di menzogne, non può non meritare uno spicciolo di fiducia. Del resto, l’alternativa è Alán. Mariana è la più scettica e cinica tra le grandi firme del giornalismo uruguayo e latinoamericano e questo suo giudizio mi ha fatto pensare molto. E’ per questo che le due domande di Diletta a Ollanta sono quelle giuste. Ho scritto in passato molto sulla differenza radicale tra il concetto di nazionalismo in Europa e nazionalismo nel Terzo Mondo. Le risposte di Ollanta a Varlese sintetizzano in maniera convincente questi concetti.
Cosa intende esattamente per nazionalizzazione”?
«Nazionalizzazione vuole dire far partecipare lo stato alle attività strategiche. Per partecipare lo stato deve partire da un principio basilare che è quello secondo il quale le risorse naturali del paese, tanto quando sono ancora nel sottosuolo che quando vengono estratte, sono di proprietà dello stato peruviano, che rappresenta il popolo peruviano. Qui sta la differenza tra il mio programma e quello dei neoliberali che danno un significato giuridico al concetto che le risorse naturali del paese sono dei peruviani quando restano nel sottosuolo, mentre quando escono sono di chi li ha estratti. E quello che si vuole fare è semplicemente nazionalizzare le risorse del paese. Come dire? le danno una caramella che si chiama petrolio, ed è sua finchè è incartata, ma se lei la scarta, diventa mia».
In Europa la parola “nazionalismo” fa molta paura, ma qui la si intende in modo diverso. Può spiegarlo Lei ai nostri lettori europei?
«In Europa si e’ vissuta l’amara esperienza delle estremizzazioni del nazionalismo che crearono una grande alleanza di grandi capitali, trasformandosi in imperialismi, che poi si chiamarono fascismo e nazismo, e che terminarono in una catastrofe, una guerra mondiale che nessuno vuole ripetere. Nel nostro caso, il nostro nazionalismo è la lotta per l’indipendenza reale del nostro paese. Se ci riferiamo al contesto europeo, direi che la richiesta di nazionalismo in Perù somiglia alla richiesta di quei popoli che furono soggiogati dai diversi tipi di imperialismo e che dovevano decidere tra l’essere colonie di questi imperi, o lottare per la propria indipendenza e la propria sovranità. Questo è il nostro
nazionalismo. Il nazionalismo in Perù chiede il recupero della sovranità delle risorse naturali, ed il recupero della capacità dello Stato di mettere in atto politiche a favore dell’educazione, della salute, della sicurezza e della qualità di vita per tutti i peruviani».