Mario Balotelli, il nuovo italiano

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Ieri a Castel di Sangro, al limite del Parco nazionale d’Abruzzo, Mario Balotelli, di professione calciatore, ha debuttato in nazionale, per ora l’Under 21. Nonostante sia nato in Italia è cittadino di questo paese da appena un mese, al compimento dei 18 anni. Prima non ne aveva diritto.

I giornali ne sono pieni ma vale la pena di ricordare che a questo ragazzo, nato a Palermo da genitori ghanesi poverissimi e poi affidato a una famiglia di Brescia, e che dall’Italia non è praticamente mai uscito, è stato appena impedito di partecipare alle Olimpiadi a causa della stupidità sadica delle leggi migratorie italiane. E masochista, visto quanto sarebbe servito un Balotelli a Pechino. Leggi migratorie, la Bossi-Fini, e già parlare di migrazioni è un controsenso per uno che è nato in Italia, ma bisognerebbe essere un paese civile per capirlo.

Così non è e Balotelli ieri per la prima volta si è tolto un po’ di sassolini dalle scarpe: “fino ai 18 anni ero un cittadino di serie B, adesso mi fate giocare in nazionale”. E anche la mamma affidataria ha raccontato un po’ delle peripezie che per esempio hanno impedito spesso a Mario di andare all’estero (altro controsenso, nato in Italia, mi considerate straniero ma mi impedite di uscire?).

Ci auguriamo che Mario Balotelli non dimentichi di essere stato un cittadino di serie B e che nella sua stessa condizione ci sono mezzo milione di bambini e adolescenti nati in Italia o immigrati in tenera età, fatti vivere in un limbo per decidere poi, solo a 18 anni, se espellerli o dargli l’elemosina di un permesso di soggiorno. Perché Mario è doppiamente privilegiato. Privilegiato perché passato direttamente da cittadino di serie B alla nazionale e privilegiato perché affidato da sempre a una famiglia italiana. Altrimenti -è questa la condizione di decine di migliaia di suoi coetanei- al massimo avrebbe ottenuto di poter restare, per studio o lavoro, ma non più per ricongiungimento familiare. Uno straniero come un altro.

Questa settimana abbiamo avuto l’ennesima dimostrazione di quanto arretrato sia il dibattito sull’immigrazione nel nostro paese e quando codardo sia il mondo politico sul tema, in spregio ai diritti civili di milioni di persone. Gianfranco Fini torna ad aprire sul voto amministrativo agli immigrati, coincidendo in questo con il PD, ma trova la chiusura totale nella maggioranza. Ma di cosa stiamo parlando?

Cinque anni SOLO per avere il voto amministrativo? E la cittadinanza piena quando? Tu vivi in un paese per cinque anni, lavori, paghi le tasse, mandi i figli a scuola e dopo cinque anni appena appena ti fanno votare per decidere chi gestirà i rifiuti o stabilirà dove mettere l’ennesima rotonda spartitraffico? E per essere rappresentato in parlamento cosa devo fare? Qual’è il percorso che propongono Walter Veltroni e Gianfranco Fini per la cittadinanza? 10, 20, 50 anni? Gliela daremo alla memoria? In realtà non c’è nessun percorso perchè la cittadinanza in Italia si ottiene in tre sole maniere. Si può acquisire per matrimonio (magari falso, un bel business), oppure se sei un calciatore sudamericano un antenato emigrato, vero o falso, si trova sempre. Per tutti gli altri, ovvero milioni di lavoratori onesti, l’unica possibilità è solo attraverso un percorso casuale che può durare vent’anni senza alcuna certezza per il richiedente.

La proposta di legge del PD, sulla quale infatti non ha alcuna difficoltà Fini a convergere, è una proposta straordinariamente conservatrice e superata dagli eventi, che allontana nel tempo l’unica integrazione possibile che è quella data dalla piena cittadinanza. Ottenere attraverso un percorso certo la piena cittadinanza nel paese dove si vive è un diritto fondamentale dell’uomo, non una pretesa che deve sottostare alle paturnie degli equilibri politici o alla xenofobia degli (altri) italiani. Concedere il solo voto amministrativo dopo cinque anni è una maniera di eludere il problema.

Per i nati in Italia è oramai indispensabile lo Ius soli. Il nato in Italia è italiano. Per tutti gli altri è necessario un percorso chiaro con il quale l’incensurato in regola sappia di avere il diritto di scegliere se e quando diventare italiano. Sono in Italia, sono in regola, lavoro e pago le tasse (o se minore vado a scuola con profitto), non ho commesso reati, riempio un modulo e mi date la cittadinanza. A Mario Balotelli sono stati necessari 18 anni e un lavoro da privilegiato. Ma cinque anni bastano e avanzano.