Ma il mondiale in Brasile non doveva essere una catastrofe per il governo?

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«Brasile: chi brigava per un “regime change” durante i ?#?Mondiali2014? finora è deluso. Tutto funziona bene, Dilma Rousseff si ricandida ed è largamente in testa nei sondaggi per le presidenziali del prossimo 5 ottobre».

Ho sintetizzato così in un tweet lo stato delle cose e mi sono piovuti addosso critiche e insulti e accuse di andare contro l’evidenza. Episodio di nessuna importanza se non che, quasi a mezzo mondiale, l’argomento dà per qualche riflessione ulteriore su chi voleva o continua a pensare che i mondiali brasiliani siano un disastro. In primo luogo mi sembra che l’evidenza vada in un altro senso.

È vero o non è vero che ancora poche settimane fa grandi media internazionali prevedevano il caos in Brasile dal punto di vista organizzativo? Gli stadi sarebbero stati dei cantieri, i turisti si sarebbero pentiti di essere andati in un paese vicino alla guerra civile, la criminalità e le proteste sarebbero state dilaganti e vi sarebbero stati ingorghi colossali in metropoli ingestibili che avrebbero addirittura impedito alle squadre di arrivare in tempo per le partite. L’evidenza è che le prime due settimane di partite si sono svolte in perfetto ordine, gli stadi sono pieni di turisti festanti, risultando uno spot planetario per il brazilian way of life e per l’efficienza e la capacità di questi di far funzionare una macchina così complessa.

La ragionevolezza dei motivi di alcuni contestatori è indubbia come è naturale, in un paese in impetuosa crescita, che il popolo chieda di più. Ma una parte delle proteste sono state nei mesi e nelle settimane scorse nelle mani delle destre più rancide che, col supporto dei grandi media internazionali, brigavano per un regime change, così come avviene, per restare nella regione, in Venezuela. In questo momento il governo del PT, criticabile per tante cose, è il più importante governo progressista al mondo ed è l’architrave dell’integrazione latinoamericana. Caduto il Brasile, scatterebbe una teoria del domino alla rovescia contro l’anomalia latinoamericana. Fare andar male il mondiale (o parlarne male) in un paese già in campagna elettorale è dunque uno dei principali obbiettivi delle destre nazionali e internazionali e del complesso disinformativo monopolista.

Buttare il bambino con l’acqua sporca è però sport diffuso più del calcio, e l’irriflessività con la quale in troppi aderiscono pregiudizialmente a qualunque protesta nel mondo senza sapere alcunché è molto triste. Fatto sta che è vero o non è vero che (fino ad ora) il perfido regime di Dilma Rousseff non solo non è caduto, tanto meno si vive un inizio di guerra civile, e le proteste si sono anzi affievolite?

In particolare per la partita inaugurale fu organizzata una gazzarra contro la presidente Dilma Rousseff, che vide in prima fila personaggi pubblici dei media monopolisti da sempre contrari al governo e timorosi che anche in Brasile possa arrivare finalmente una legge di regolamentazione sui media come quella argentina e degna di un paese civile. Fu un vero agguato mediatico, una canagliata davanti all’occhio del mondo ed era un po’ come se s’indignassero contro il governo di Romano Prodi Emilio Fede e Iva Zanicchi spacciandosi per gente comune. Tale protesta, in favor di telecamere, ha avuto un’eco planetaria e fatto versare fiumi d’inchiostro descrivendo Dilma come presunta governante più odiata al mondo. In merito Lula ha parlato di «odio delle elite senza calli sulle mani verso la presidente e verso le classi popolari».

Orbene l’evidenza è che Dilma, criticata e criticabile, e col livello d’appoggio più basso di tutto il decennio progressista, è largamente in testa in tutti i sondaggi per le presidenziali del 5 ottobre, stazionando tra il 39 e il 40% delle aspettative di voto laddove il suo più diretto rivale, Aécio Neves, langue tra il 19 e il 21%. E qual è l’unica fascia della popolazione dove Aécio batte Dilma? I ricchi. Negli altri quintili della popolazione vince sempre Dilma ed è pertanto una menzogna sostenere che i più poveri siano contro il governo del PT. Vogliono di più, ma con la coscienza di classe che ha spesso caratterizzato in questi decenni il proletariato brasiliano (diverso è il conto per chi è transitato verso la classe media) sanno anche che non c’è una maggioranza alternativa mentre invece il quinto più ricco della popolazione, nonostante abbia avuto moltissimo dalla pace sociale garantita dal PT, è l’unico disposto a cambiare: vogliono un governo che torni al neoliberismo duro e puro.

Evidentemente infine, per tanti che guardano al Brasile dall’Europa (di quelli che dopo 6 mesi Lula era una delusione perché non aveva rotto le relazioni con gli USA) è meglio un governo di destra che un [perfettibile] governo di centro-sinistra. Il ciclo dei governi progressisti e integrazionisti in America latina non è eterno e sta mostrando segni di logoramento come chi scrive ha detto più volte. È giusto volere di più e meglio e se necessario alzare il livello dello scontro. Ma quale ad oggi sarebbe l’alternativa? I Leopoldo López in Venezuela e i Macri in Argentina o chi per loro? Davvero desiderate il tanto peggio e volete un governo Neves e far fare alla storia un salto indietro di 20 anni?