Pecoraro, le regole dell’eterno signor no

Il mestiere del signor no ha tre regole d’oro. Primo: mettersi di traverso, sempre e comunque. Secondo: allarmare, con l’uso in automatico delle iperboli, dalle catastrofi agli scempi. Terzo: parlare a raffica, meglio se in qualche salottino televisivo dove si è sempre coccolati e protetti.
Il ministro dell’Ambiente, o dei Veti che dir si voglia, Alfonso Pecoraro Scanio ha imparato l’arte dell’interdizione prima attraverso il lessico barocco della scuola forense meridionale (nella Navicella parlamentare si presenta avvocato, come il padre) e poi alla scuola politica dei Radicali e dei Verdi. Da uomo di governo ha già collezionato il record dei lanci Ansa (ne sono stati contati

2.627, anche sette in un solo giorno) e dei «non si può fare». Dai rigassificatori ai termovalorizzatori, dalle centrali nucleari a quelle a carbone, dagli Ogm alle perforazioni petrolifere. Per non parlare delle grandi opere pubbliche, quelle strategiche per il sistema Paese. Il nostro ministro è contrario alla Tav in Val di Susa, al Mose per proteggere Venezia dall’innalzamento delle acque, al traforo del Brennero e alla variante di valico sull’Autostrada del Sole.
Nelle oltre 200 pagine del programma del governo di Romano Prodi, c’è il suo scalpo preferito: la cancellazione del ponte sullo Stretto, già approvato e finanziato dal precedente governo. Quanto al metodo, Pecoraro Scanio è un pianista che conosce a memoria tutti i tasti della scala musicale. Scende in piazza, con il popolo, come ha fatto mettendosi alla testa dei cortei di protesta contro il termovalorizzatore di Acerra: chissà che cosa gli è frullato nella testa ieri, quando Romano Prodi ha annunciato che se ne faranno tre in Campania. Sbatte il pugno sul tavolo, con la giacca ministeriale, per mettere in riga e costringere alle dimissioni il commissario straordinario Guido Bertolaso, l’uomo delle emergenze, l’autore di quel piano che se fosse stato approvato avrebbe evitato la tragedia della spazzattura che adesso sommerge Napoli e provincia. Presiede, con gli esperti, un faraonico convegno sul cambiamento climatico in Italia i cui dati sono contestati perfino dallo scienziato di fama mondiale Franco Prodi, fratello del premier. E quando tutto manca, il Signor No ha l’arma letale per impallinare qualsiasi progetto: le riunioni dei suoi comitati. Il Via, per la valutazione di impatto ambientale, e il Vas, per la valutazione ambientale strategica. Doppioni dell’Italia che gira le spalle alla modernizzazione, tavoli dove passano mediamente 860 giorni, quasi tre anni, per istruire una pratica. Il signor no ci costa, e quanto ci costa…
Qualche mese fa l’amministratore delegato dell’Enel, Fulvio Conti, ha consegnato a palazzo Chigi un documento con qualche cifra. La spesa del non fare, nel solo settore energetico, finora ammonta a qualcosa come 40 miliardi di euro, il 3 per cento del prodotto interno lordo, il totale di tre o quattro leggi finanziarie. Continuando di questo passo, con i veti a raffica di Pecoraro Scanio e con un intero governo costretto a ratificarli, la bolletta dell’interdizione salirà, nel 2020, a 200 miliardi di euro. E poi ci sono i costi indiretti, più difficili da quantificare ma molto più pesanti per gli effetti a catena sulla popolazione. I napoletani, per esempio, pagheranno queste settimane di strade invase dai rifiuti sulla loro pelle, e aumenteranno, come già sta avvenendo, i valori statistici di una serie di patologie.
Passeranno mesi, forse anni, prima che il turismo, anche per l’immagine da epidemie del Medioevo che hanno fatto il giro del mondo, possa riprendersi. E innanzitutto sotto quelle montagne di spazzattura si seppellisce la democrazia, con le sue regole, le sue responsabilità. E come un gallo (sulla munnezza) può cantare vittoria soltanto un ministro chiacchierone, un Signor No in servizio permanente effettivo.

Antonio Galdo, il Mattino