Maurizio Chierici sull’Unità: salvate il bambino Emanuel

Storia di un bambino all’onore della cronaca, ma il bambino non lo sa. Ha tre anni e mezzo, si chiama Emanuel, «Dio è con noi». Dietro la grazia del nome la vita resta un inferno. È nato dall’amore «proibito» tra Clara Rojas e un carceriere che ne vegliava la prigionia. Proibito, perché il dogmatismo marxista delle bande armate condanna ogni rapporto personale «col nemico». Da sei anni nella foresta colombiana, la madre è prigioniera delle Farc assieme a Ingrid Betancourt.

Volevano sfidare il presidente liberista Uribe per smontare le cosche politiche, militari e mafiose che schiacciano la società civile. Elezioni 2002. Come tutti sanno, l’idiozia delle bande armate legate ai narcos le trasforma in merce di scambio. Il massimalismo finisce sempre per dare una mano al potere. Emanuel è venuto al mondo con un taglio cesareo improvvisato nelle frasche di una capanna: per bisturi, il coltello da cucina. Nasce col braccio destro anchilosato. Bianco, piccolissimo, pesava niente, racconta in Tv nell’aprile 2006 il giornalista Jorge Enrique Botero presentando il suo libro «Ultime notizie dalla guerra». La madre era rimasta sola. Guerrigliero-padre allontanato appena il comando Farc viene a sapere che Clara Rojas aspetta un bambino. Ivan Rojas, fratello di Clara, non sopporta l’insinuazione: si rivolge al tribunale per far sequestrare il volume. Ma arrivano altre informazioni: il 28 aprile 2007, John Frank Pinchao, poliziotto-ostaggio sfugge alle Farc e conferma la maternità di Clara. Emanuel tira avanti per qualche mese nell’umidità della malaria, divorato dalla verminosi e dagli insetti. Fin qui una storia come tante nella Colombia dove tre milioni di profughi interni vagano come i fantasmi del Darfur. Per Emanuel, o per i ragazzi soldato, o per i tre bambini che ogni minuto chiudono gli occhi sfiniti, ancora nessuna speranza, anime morte nel tritasassi del potere. Potere delle Farc: tenerezza verso il bambino pensando al ricatto d’oro che può procurare. Potere del presidente Chavez: vede nella sua liberazione la cometa che può illuminarlo mettendo in ombra le amarezze del referendum perduto; potere del presidente Uribe deciso a non permettere il ritorno alla vita di Ingrid Betancourt, di Clara Rojas e di ogni intellettuale in grado di smascherare i suoi appetiti. Dove Chavez ha fallito lui potrebbe farcela: sta cambiando la Costituzione per la rielezione eterna. Emanuel diventa il giocattolo conteso da queste ambizioni. Senza contare l’impazienza dei professionisti della violenza. Nel racconto di Pinchao, tre mercenari californiani, prigionieri assieme agli altri, protestano per i lamenti del neonato. L’essere ostaggio fa parte del loro contratto di lavoro, contractors della Microwawe System ingaggiata dal Pentagono per dare una mano all’antiguerriglia di Uribe. Ma l’aereo cade nella foresta, eccoli in catene. Emanuel ne disturba il sonno. E i pianti durante le fughe improvvise lasciano tracce che mettono in pericolo la loro incolumità. O ve ne liberate voi, o ce ne liberiamo noi: i signori della guerra non amano le sfumature.

Piaghe per bruciature di sigaretta strappano il cuore della madre. Per giorni invoca la restituzione del piccolo appena lo portano via per metterlo al sicuro. Le Farc consegnano Emanuel «ad una persona onesta» nella speranza che la vita normale lo aiuti a sopravvivere in previsione di chissà quale ricatto. Josè Crisanto Gomez fa il muratore ed ha cinque figli: abita a El Retorno, dipartimento di San Josè di Guaviare, regione Farc. Emanuel arriva su una lancia a motore. Ha bisogno di cure, ma il muratore e la moglie non sanno come alleviare lo strazio del braccio anchilosato. Due mesi dopo si arrendono: nel luglio 2005 José consegna il bambino all’ospedale. Detta il nome all’impiegato che tiene in ordine i registri d’accoglienza: Juan David Gomez Tapiro, «pronipote». Povero Emanuel, sembra agli sgoccioli e l’ospedale avverte l’Istituto Colombiano per la Tutela della Famiglia. Diventa uno dei 15.853 piccoli che in anno la guerra civile disperde senza identità controllate, ecco perché i registri della Tutela Famiglia vengono passati al microscopio dai servizi segreti: dietro ogni minore abbandonato c’è forse un guerrigliero. Quali sospetti può aver suscitato David-Emanuel resta un segreto, ma sei mesi fa qualcosa si muove.

Sarkozy riaccende la diplomazia: accogliendo le preghiere dei figli, madre e marito di Ingrid Betancourt, comincia un pressing diplomatico su Uribe spingendolo ad allargare la speranza alla «mediazione del presidente Chavez», come suggerisce Piedad Cordoba, senatrice dell’opposizione colombiana. Appaiono due notizie che solo adesso è possibile mettere in relazione. Mentre la mediazione Piedad-Chavez è ancora sotterranea, anche se già annusata dai servizi dell’altra America, la giornalista venezuelana Patricia Poleo pubblica sul foglio di famiglia Nuevo Diario, la rivelazione bomba: Ingrid è custodita da Chavez in territorio venezuelano. La famiglia Poleo vive tra Washington e Miami. Il giornale si stampa a Caracas nutrito dai capitali di una misteriosa fondazione Usa. Patricia non può tornare in Venezuela. La insegue un mandato di cattura per l’assassinio del giudice Anderson: stava indagando sui mandati del colpo di stato anti Chavez, 2002 e un commando l’ha fatto fuori. Nessun quotidiano delle Americhe abbocca alla storia di Ingrid: tutti sanno chi sono gli amici della Poleo, ma l’Europa è lontana e scioglie l’emozione. A questo punto Chavez viene a galla: riunisce una conferenza stampa dichiarandosi disposto a contattare Marulanda, vecchio capo Farc. Succede mentre John Frank Pinchao, poliziotto sfuggito alla prigionia, inonda ogni prima pagina colombiana con il racconto di Emanuel, figlio di Clara. I fogli popolari ne sollecitano con impazienza la liberazione: ogni sera titoli da copertina. Ed ecco il secondo avvenimento: Alberto Cuta, funzionario che tutela i diritti della famiglia ed ha maneggiato i documenti di David-Emanuel, a fine agosto sale a Bogotà dalla regione Farc del Guaviare. Fa precedere il viaggio da lettere nelle quali spiega d’essere in possesso di informazioni importanti. Quali? Ne porterà le prove. Alberto Cuta non arriva a destinazione con le notizie: sgozzato appena mette piede a Bogotà. Sono i giorni dell’idillio improvviso Uribe-Chavez. Il presidente venezuelano dà piena fiducia al presidente colombiano: deve dimostrare che Ingrid e i 45 ostaggi che le Farc mettono a disposizione per lo scambio, sono vivi. Da quattro anni familiari e autorità non hanno notizie. Chavez vola a Parigi ad incontrare Sarkozy, populismo del socialismo o muerte, in sintonia col populismo country club. Questione di ore, lettere e immagini stanno per arrivare. Ma il giornale argentino Pagina 12 sospetta qualcosa: Uribe non ha convenienza che una mediazione internazionale lo metta da parte, eppure ne sembra sollevato. Perché? Poche ore e tutto diventa chiaro: subito dopo la telefonata di un emissario Farc che annuncia a Chavez l’arrivo di lettere e foto, l’angolo della foresta dalla quale il messaggero chiamava viene bruciato da un bombardamento selvaggio e gli emissari in viaggio verso il Venezuela con lettere e immagini, arrestati e fatti sparire dalla polizia colombiana. Chavez è servito come allodola. Con una scusa Uribe subito se ne libera, mediazione finita: torna a decidere da solo. Di Emanuel non si parla più. Per poco: sono le Farc a rimettere il bambino in primo piano. Lo libereranno assieme alla madre e ad un’altra signora ex deputato da sette anni in catene. A Chavez il compito di garantire il ritorno di Emanuel e delle donne. Sarkozy, e i democratici di Washington sono d’accordo: si respira aria da prova generale per la liberazione Betancourt. Kirchner accetta di guidare la commissione di garanzia assieme a Marco Aurelio Garcia, numero due del Lula brasiliano. Svizzera, Francia, Cuba, Ecuador, e Bolivia li accompagneranno nella foresta con ministri e ambasciatori. Né Graham Greene, né Le Carré avevano immaginato qualcosa del genere nei loro romanzi. La Colombia apre le porte con generosità, stessa generosità del Chavez che organizza la carovana di aerei ed elicotteri parcheggiati nell’aeroporto colombiano di Villavincencio, città agricola, capitale delle rose: ogni mattina, un po’ congelate, le rose prendono il volo verso le vetrine di Miami e New York.
Per Emanuel, la madre e l’altra signora sembra fatta. «L’abbiamo battezzata “operazione Emanuel” in onore del piccolo prigioniero». L’ex presidente argentino e gli altri si sistemano in una fattoria bunker pronti a saltare sugli elicotteri per raccogliere gli ostaggi in cammino. Aspettano le coordinate del posto segreto; aspettano, ma le coordinate non arrivano. La signora Fernandez, moglie di Kirchner e presidente a Buenos Aires, telefona preoccupata al marito: ha parlato con Uribe, l’ha trovato scettico. È convinto sia una messa in scena che finirà in niente. «Montatura mediatica». Kirchner marito si arrabbia: «C’è di mezzo un bambino, nessuna montatura…». Trecentocinquanta giornalisti ammucchiati a Villavincencio stanno aspettando. Aspetta il regista Oliver Stone, documenterà il momento storico della presa in consegna degli ostaggi.

Ma le Farc tardano e un Chavez da qualche giorno stranamente diplomatico rompe la bonaccia: qualcuno sta cercando di frenare i passi dei prigionieri. Gli risponde Uribe: la regione segnalata dalle Farc è libera da ogni forza armata. Nessuna operazione in corso. Il ritardo dipende da chissà quali problemi interni della guerriglia. Lascia capire: fanno sempre così. Luis Carlos Restrepo, commissario per la pace del governo colombiano, va a trovare Kirchner e gli altri volontari, confermando le parole del presidente: da tre settimane non un solo militare pattuglia la foresta. Ma Miami Herald e Nuevo Herald, hanno altre informazioni. Il giornalista Guillem parla col generale comandante della quarta divisione, Freddy Padilla de Leon e scopre che dal 19 dicembre è in corso l’operazione Emanuel. Stesso nome dell’impresa che libera i prigionieri: non si fa confusione? Il significato è diverso, spiega il generale. Il nostro Emanuel vuol dire buon Natale. Natale sicuro nelle foreste della regione. Sicurezza armata fino ai denti: i comandanti dei battaglioni 19, 22, 44, documentano morti e prigionieri fra le «le bande criminali Farc». Ogni giorno scontri duri nel verde che doveva essere disarmato. «Gruppi intercettati, agganciati, distrutti…». E le notizie che il commissario di Uribe porta alla delegazione Kirchner cominciano a cambiare: le Farc hanno attaccato un aereo militare con 30 uomini a bordo. Per fortuna il razzo si è perduto, ma è allarme.

Il 28 dicembre l’informazione pesante: Restrepo avverte che la Colombia non è in grado di garantire l’incolumità di Kirchner e Marco Aurelio Garcia nel momento del faccia a faccia con le Farc. «Siete bianchi ed importanti. Sospettiamo vogliano prendervi prigionieri». Kirchner si lascia andare coi giornalisti argentini: «Ho l’impressione che ci invitino a tornare a casa». E a Villavincencio all’improvviso appare il presidente Uribe. Conferenza in una base militare: non è vero che le truppe colombiane frenino l’incontro. La Farc non può venire all’appuntamento perché Emanuel è nelle nostre mani. Non prigioniero; ospite segreto in un istituto di assistenza. Ma perché dirlo solo adesso? vogliono sapere i commissari arrivati da sette paesi. «Anch’io lo so da poche ore…». Missione interrotta. Nel racconto presidenziale, il muratore al quale le guerriglia aveva consegnato Emanuel due anni prima, avrebbe tentato di riprendersi il bambino come gli era stato ordinato dalle Farc. Non ce l’ha fatta ed ha confessato la verità. Con la moglie e i cinque figli viene trasferito a Bogotà sotto protezione di stato. Esiste un’altra versione: il muratore è sotto protezione da più di un mese. Messo alle strette dopo l’assassinio di Alberto Cuta, difensore dei diritti della famiglia, avrebbe conservato il segreto lasciando che il presidente facesse finta di aspettare l’Emanuel in marcia nella foresta. La prova dna conferma: il bambino è proprio Emanuel. Uribe se ne proclama protettore, la nonna e lo zio lo vorrebbero per loro, Chavez ne festeggia «l’identificazione»: merito nostro se oggi sappiamo che non è prigioniero. E la madre, e l’altra signora deputato? «Abbiate pazienza, le riporteremo a casa». Fino a sei mesi fa Emanuel era un fantasma. Adesso è solo un bambino, ma non sa con quale nome e in quale famiglia gli strateghi dell’intrigo internazionale gli permetteranno di giocare lontano dagli occhi di nuovi e vecchi carcerieri.

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