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Kenya, solo i massacri scuotono i media, intervista a Renato Kizito Sesana

6 Gennaio 2008DialoghiRedazione

di Stefano Corradino

“Premesso che non è affatto facile interpretare le informazioni in modo corretto se non si conosce a fondo il Paese, bisognerebbe tuttavia cercare di dare una visione molto più equilibrata; non parlare solo delle uccisioni e dei massacri ma capire la complessità della situazione”. Così “Kizito” Sesana, il padre comboniano – già direttore di Nigrizia – in Kenia dal 1998, parla ad Art.21 del ruolo della stampa keniota e di quella occidentale. E di un Paese fermo, preda di interessi “particolari” di Usa e Gran Bretagna.

Qual è la situazione a Nairobi in questo momento?
E’ decisamente più tranquilla dopo che

l’opposizione ha rinunciato alla manifestazione di piazza. La gente si è calmata e ha una grandissima voglia di normalità, non ne può più di questi giorni di tensione. Quando si è capito che la manifestazione annunciata stava per fallire c’è stato un sospiro di sollievo, si sono riempiti i negozi e la gente è tornata in strada.

Le tensioni non riguardano però solo Nairobi.
No, e in effetti il conflitto si sta propagando in altre zone. Proprio ieri l’annuncio, che stiamo tuttora confermando, di nuove uccisioni e scontri etnici nel Kenya occidentale. Una situazione di violenza che in altre zone del Paese sfugge al controllo.

Ci sono segnali di dialogo?
A Nairobi sì, le due parti sembrano dialogare ma ci vorrà ancora molto tempo… 

Come giudica il ruolo dell’occidente in questa fase? Il Kenya è un territorio a cui le potenze occidentali sono molto “interessate”…
Interesse mi sembra il termine giusto: l’azione diplomatica c’è ma sembra dettata più che altro da interessi “particolari”. Sono rimasto piuttosto perplesso dall’azione dei due più grandi alleati del Kenya, Usa  e Gran Bretagna…

Dal punto di vista sociale ed economico qual è la fotografia attuale del Paese?
Il Paese è fermo, in una fase di stagnazione completa. E questo condiziona anche i Paesi limitrofi. In Uganda i prezzi sono triplicati da domenica ad oggi perché molti beni passano attraverso il Kenya. E se il Kenya va nel caos ci cade tutta l’Africa orientale.

E per quanto concerne l’informazione?
La stampa keniota si sta dimostrando piuttosto libera. Fatta eccezione per il divieto di mandare in onda immagini in diretta radio e tv ha scelto di far ragionare la gente. Mentre nelle scorse settimane ciascuno appoggiava un candidato o un partito, in questi ultimi giorni l’atteggiamento è alquanto responsabile: hanno appena pubblicato un editoriale comune e questo è un bel segnale. Chiedono: fermate la strage e poi si ricomincia a ragionare.

La stampa occidentale ha lo stesso atteggiamento responsabile?
Premesso che non è affatto facile interpretare le informazioni in modo corretto se non si conosce a fondo la situazione del Paese, bisognerebbe cercare di dare una visione molto più equilibrata; non mettersi subito a sottolineare e mettere in risalto i fatti più clamorosi e sanguinolenti, ma cercare di dare una interpretazione complessiva. E invece la stampa internazionale, mediamente, tende a parlare solo delle uccisioni e dei massacri piuttosto che far capire la complessità del problema.

fonte: Articolo 21

Tag: Africa, dialogo, Gli articoli degli altri, Gran Bretagna, La Stampa, stampa internazionale, TV
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