Dalla finta terremotata dell’Aquila a Lampedusa: l’usucapione delle frequenze televisive

L’ignobile episodio della finta terremotata che racconta a Canale5 che l’Aquila è già stata ricostruita, dovrebbe indurre a riflessioni molto meno contingenti di quelle che si trovano sui giornali e finanche sui blog. Rita dalla Chiesa e la sua comparsa abruzzese non hanno fatto altro che aggiungere un frammento alla grande finzione che va in scena tutti i giorni sui canali televisivi commerciali italiani e (solo in maniera meno indecente) del resto del mondo. Da una parte si mette in scena un mondo dei sogni, dall’altro si prospetta un mondo di paure e si dà l’illusione a milioni di persone di poter scegliere tra paradiso e inferno.

Il cinismo con il quale, in maniera infinitamente più grave rispetto alla comparsata aquilana, viene da giorni creato ad arte il caso lampedusano (televisivamente perfetto) è in questo esemplificativo. L’apparente inazione del ministro degli interni Roberto Maroni (che dal primo momento afferma di essere sul punto di trasferire i migranti in continente, poche decine in ogni provincia, ma poi rimanda sempre) è palesemente dovuta al creare una doppia violentissima narrazione. Da una parte gli abitanti dell’isola vengono messi di fronte ad un’invasione di fatto, fomentando reazioni xenofobe che in quella situazione è difficile stigmatizzare. Così dall’altra parte si fomentano tutte le paure artatamente costruite negli ultimi vent’anni, mostrando che l’invasione è già in atto ma allo stesso tempo il governo la sta fermando sul bagnasciuga, in quella terra di nessuno sacrificabile che è il Sud. Da una parte l’inferno lampedusano, dall’altra lo spadone di Alberto da Giussano che salva dai figli di Annibale il paradiso di villette a schiera abitato dal bravo ragioniere di Varese o dall’onesto pensionato trevigiano.

Che si tratti di programmi d’intrattenimento, di infotainement o addirittura di telegiornali, il percorso (e il prodotto) non cambia ma proprio per questo l’analisi non può non farsi radicale. Chi afferma che Rita dalla Chiesa deve scusarsi o addirittura essere licenziata (per aver fatto gli interessi del suo editore?) o appunta alle caratteristiche italiane del sistema televisivo commerciale o al conflitto d’interesse berlusconiano non coglie che una parte del tutto. Questo è rappresentato dal monopolio dei media commerciali sul nostro immaginario e sull’usucapione da parte di un numero infimo di soggetti di frequenze pubbliche trattate non come concessioni ma come proprietà privata.

I media commerciali, che hanno (legittimamente) come finalità il profitto economico, manipolano sistematicamente la realtà a quel fine (basta pensare ai consigli per gli acquisti) ed è illusorio pensare di avere media commerciali in grado di fare interessi diversi da quelli di chi su di loro investe economicamente e politicamente. L’unica soluzione è una grande riforma che lasci ai media commerciali solo una parte delle frequenze in favore di servizi pubblici non lottizzati dalla politica e media sociali e comunitari in grado di curare radicalmente l’immaginario collettivo vittima di decenni di manipolazioni.

Oggi in Italia ricordare che le frequenze radiotelevisive sono pubbliche e il gruppo Mediaset ne è solo concessionario appare una provocazione come appare utopico pensare un giorno di assegnare quelle stesse frequenze ad altri soggetti, magari commerciali, ma non identificabili con il Re di Bunga Bunga che le usa come proprie da trent’anni. Ma è solo ponendo all’ordine del giorno il nocciolo del problema che si può cominciare a risolverlo.