Su Chávez e il Borbone; se Allende avesse potuto fare altrettanto!

Provate ad immaginare se Salvador Allende fosse uscito vivo dal golpe dell’11 settembre 1973, se il popolo cileno avesse rovesciato la situazione, sconfitto i golpisti e Don Salvador fosse rimasto legittimamente al governo. Credete che Allende avrebbe fatto sconti al mandante del colpo di stato, Henry Kissinger, parlando magari dalla tribuna delle Nazioni Unite? Credete che non sarebbe stato ridicolizzato e criminalizzato?

Perché mai Hugo Chávez non deve dare pane al pane e definire “golpista” e “fascista” José María Aznar? L’ex capo del governo spagnolo, ha documentatamente partecipato all’organizzazione del golpe che doveva vedere Chávez morto l’11 aprile 2002, e di questo fu direttamente accusato dal Ministro degli Esteri di Zapatero stesso, ed è il figlioccio politico di Manuel Fraga (l’ultimo ministro di Franco in attività). Quale straordinaria ipocrisia riduzionista impedisce agli europei di trattare quel golpe per quel che fu?

Al vertice iberoamericano di Santiago del Cile sono successe alcune cose straordinarie. I media mainstream hanno accuratamente scelto di presentare una visione di parte: il punto di vista spagnolo. O meglio il punto di vista della corona spagnola, che probabilmente credeva che nel ventennio neoliberale avesse riconquistato la piena disponibilità delle sue ex-colonie. Ma chi vuole davvero capire come sono andate le cose deve sapere che il punto di vista spagnolo, ripetuto pedissequamente dai media italiani non è l’unico. Anzi; deve sapere che il punto di vista spagnolo travisa, elude, restringe la realtà. Nel video che pubblichiamo a parte si può vedere non tutto dei due giorni, ma molto di più di quanto fatto vedere, un singolo episodio che impedisce di comprendere l’importanza politica dell’evento e il mutamento radicale del clima in un’America latina che non accetta di essere più parente povero. Lo disse in marzo Nestor Kirchner alle Cortes di Madrid, che lo ascoltarono freddissime, lo hanno ripetuto in molti a Santiago e si può riassumere con una sola parola: “rispettateci”.

Nel video che pubblichiamo non si vede per esempio il presidente argentino Nestor Kirchner attaccare frontalmente l’operato degli spagnoli, governo e multinazionali, la corruzione documentata, l’indifferenza alle conseguenze umane e ambientali della loro politica, che ha costretto alla fame milioni di latinoamericani. Don Nestor si è espresso con parole durissime e più volte il signor Borbone, non abituato ad ascoltare critiche è stato sul punto di sbottare.

Non si vede neanche l’intervento del presidente ecuadoriano Rafael Correa. Ma dare del “fascista” ad Aznar è una valutazione oggettiva di una reiterata condotta e cultura politica. Invece Correa (un democristiano con tanto di dottorato a Lovanio, in Belgio, l’università dove l’internazionale democristiana da trent’anni prepara i propri quadri latinoamericani) ha affermato in faccia al Borbone che TUTTI gli imprenditori spagnoli che hanno operato in questi anni in America latina sono AVVOLTOI. Anche lì la faccia del Re era già bella rubizza e i media hanno fatto finta di non vedere. Chi va demonizzato è il negraccio dell’Orinoco.

Nel video si vede però Evo Morales difendere orgogliosamente la sua tesi che solo l’uscita dal neoliberismo può garantire coesione sociale all’America latina. Mentre la faccia del Borbone è sempre più furiosa, Evo fa un discorso alto sui beni comuni, l’acqua, la salute… che non dovranno mai più essere soggetti alla logica del mercato. Zapatero gli replica con una triste lezioncina, per la quale sarebbe invece l’ampiamento del liberismo economico (sic!) la forma migliore di combattere povertà, discriminazione e razzismo e rivendicare in maniera scandalosamente eurocentrica che dalla rivoluzione francese a Carlos Marx “gran parte delle migliori idee” vengono dall’Europa. Anche delle peggiori se è per questo. Anche Hernan Cortés e Adolf Hitler erano europei. E con ciò signor Zapatero?

Poi nel video si vede Chávez, che chiede di non minimizzare i fattori esterni, che considera fondamentali nell’impedire all’America latina di scegliere il proprio cammino. Ricorda la figura alta di Salvador Allende e il golpe che ne fermò il cammino. Quindi ricorda il golpe che tentò di impedire il suo di cammino. Non ne ha diritto? Perché ricordare quel colpo di stato fa così saltare dai gangheri statunitensi ed europei? Forse la colpa di Chávez è non essere morto in gloria lasciando il passo libero all’ennesima dittatura filooccidentale che Aznar, Bush e l’FMI avevano fatto a gara a riconoscere?

Solo da lì in avanti si vede il poco che i media mainstream hanno voluto far vedere. Zapatero che interrompe Chávez e non viceversa e che, con un ragionamento identico a quello di Berlusconi per i reati di corruzione, bacchetta Chávez esigendo rispetto: se il golpista e bugiardo matricolato (ricordate le stragi dell’11 marzo e il dar la colpa all’ETA o le menzogne sull’Iraq?) José María Aznar è stato eletto dagli spagnoli ciò secondo Zapatero lo emenderebbe da ogni colpa.

Il fatto fantascientifico, che Zapatero e i media mainstream fingono opportunamente di dimenticare, è che nel novembre del 2004 Miguel Ángel Moratinos, ministro degli esteri di Zapatero tuttora in carica, accusò direttamente Aznar di avere appoggiato il colpo di stato in Venezuela. E’ la logica di Teodoro Roosevelt: “Aznar è un golpista (Roosevelt diceva “figlio di puttana”) ma è il nostro golpista”. Noi spagnoli possiamo accusarlo, ma se lo accusa chi di quel golpe fu vittima, allora faremo gli scandalizzati ed esigeremo rispetto.

Quindi nel video si vede Daniel Ortega ricordare il caso della Unión Fenosa (multinazionale spagnola, monopolista privata dell’elettricità in Nicaragua e inadempiente a tutti gli accordi) e ammettere la responsabilità dei latinoamericani dell’essersi fatti imporre politiche dagli europei. Non farsi imporre politiche vuol dire non essere più colonie. A quel punto il signor Borbone non ci vede più dalla rabbia e lascia la sala. E’ stato abituato per anni ad essere ringraziato in ginocchio dai vari Alemán, Ménem, Fujimori, Carlos Andrés Pérez, tutti arricchiti a suon di tangenti dalle multinazionali spagnole e tutti passati o in procinto di passare dalle rispettive patrie galere. Hugo Chávez, al quale Ortega cede parte del tempo, proprio per difendersi dalle parole di Zapatero, ricorda (e trasla) una massima di José Gervasio Artigas, il padre dell’Uruguay: “dicendo la verità, né offendo, né temo”. Anche questa citazione, che per ogni latinoamericano significa e spiega molto, viene espunta.

Infine si vede il cubano Carlos Lage che si incarica di mettere le cose in prospettiva e ricordare che le multinazionali e i paesi occidentali si oppongono ai cambiamenti in America latina perché questi vanno contro i loro interessi (l’intero summit era stato fino allora organizzato dall’anfitriona Michelle Bachelet secondo la trita retorica del “grazie spagnoli che investite da noi”) e che Chávez è nel suo pieno diritto nel difendersi essendo a tutti i presenti noto che Aznar ha reiteratamente mancato di rispetto alla dignità del Venezuela e di Chávez stesso.

Questo è quanto è dimostrabilmente successo a Santiago. I governi di Argentina, Ecuador, Bolivia, Venezuela e Cuba, hanno durissimamente contestato le politiche neoliberali, le conseguenze sociali e ambientali e la corruzione con la quale in primo luogo le imprese spagnole (notoriamente peggiori di quelle statunitensi) hanno inondato l’America latina nel ventennio neoliberale.

Gli spagnoli si sono trovati in franca minoranza, attaccati nell’essenza delle loro politiche da tutte le parti e hanno reagito mettendola in rissa con il signor Borbone, così irregalmente fuori dai gangheri, da mancare di rispetto ad un presidente costituzionale di un paese sovrano. Quindi hanno usato i loro media, per passare da vittime a partire dal quotidiano madrileno El País. Chi scrive, che a El País ha lavorato in passato e ne conosce l’ambiente, ne ha discusso sabato scorso a Londra con Miguel Ángel Martinez, il vice presidente del Parlamento Europeo, dello stesso partito di Zapatero, ma più intellettualmente onesto: “El País ha due facce, progressista in casa, di destra dura e pura quando si parla di America latina”. Ed El País tra sabato e domenica ha dedicato molte pagine alla difesa della Confindustria iberica e ad attaccare Chávez, dimenticando stranamente di citare il giudizio di Rafael Correa, quel “banda di avvoltoi” che, che piaccia o no, rappresenta il termometro della popolarità delle imprese spagnole e del neoliberismo in generale oggi in America latina.

La politica europea, non solo l’italiana, è oramai talmente povera di contenuti da combattersi in punta di fioretto. In America no, in America si può dare dell’avvoltoio all’avvoltoio e del golpista al golpista, ma soprattutto si può parlare di cose serie, di beni comuni, educazione, salute e cercare soluzioni. Chi finge di scandalizzarsi, come Zapatero o il signor Borbone o i giornalisti che hanno sposato la loro tesi, è un ipocrita.

Tutto ciò è documentato. I media mainstream hanno però scelto un’altra linea: quella di evitare ad ogni costo che i lettori e spettatori europei capiscano quello che sta succedendo in America. Il TG1 di Gianni Riotta l’ha fatta ovviamente più semplice di tutti: “il solito Chávez fa arrabbiare perfino il re di Spagna”. Contenti loro di spiegarla così.