Il giorno di Dilma

18412_1Se il candidato è una donna è solo perché un uomo ce l’ha messa. Questo sussurra più o meno a chiare lettere la stampa di tutto il mondo. Un po’ di più si trattengono se la donna in questione è di destra e del nord del mondo. Succede per esempio per Margaret Thatcher o Angela Merkel. Altrimenti è una sequenza ininterrotta di insinuazioni, come quelle sul candidato alla presidenza brasiliana, Dilma Rousseff e quelle per le quali il presidente argentino Cristina Fernández sarebbe stata solo una donna dello schermo per suo marito Néstor e che, morto lui, lei sarebbe solo una nuova Isabelita nelle mani di apprendisti stregoni alla López Rega*.

Per l’autorevole (sic) “Financial Times” Dilma Rousseff, con una quarantennale carriera politica che l’ha portata dalle camere di tortura della dittatura brasiliana ad essere una dei ministri chiave dell’attuale governo, può essere liquidata come “una protetta”, quasi una geisha, dell’attuale presidente Lula. Allo stesso tempo il “Financial Times” non stigmatizza l’uso di “belle ragazze” per procacciare voti da parte di Serra.

Chissà se Lula avesse “protetto” un candidato uomo cosa avrebbe scritto e chissà cosa scriverebbe il “Financial Times” se davvero, come in questi giorni ventilano alcuni giornali italiani, Silvio Berlusconi, dovesse candidare in sua vece l’attuale ministro e presunta protagonista di bunga bunga Mariastella Gelmini. Qualcosa dice che il quotidiano londinese sarebbe più elegante.

Comunque sia, oggi, una maggioranza compresa tra il 55 e il 60% dei 135 milioni di elettori brasiliani sceglierà Dilma e scarterà il “protégée” della stampa finanziaria internazionale José Serra. Così otto anni di governo Lula passeranno alla storia con più dell’80% di approvazione dei brasiliani. Inoltre, “protetta o no”, anche il Brasile avrà la prima donna presidente, cosa che manca ancora a civilissimi paesi occidentali come l’Italia, la Francia, la Spagna, gli Stati Uniti.

Con qualche mugugno, e la pietra dello scandalo scagliata da Marina Silva (la candidata ambientalista che ha preso il 20% dei voti per poi non appoggiare nessun candidato al ballottaggio), la sinistra e  i movimenti sociali voteranno compatti per Dilma Rousseff. Nonostante alcune promesse mancate, troppo grande è l’avanzamento rappresentato dagli anni di Lula per cadere nel rischio di un ritorno al caos di un governo di destra. Leonardo Boff è stato molto chiaro nello spiegarlo:  “[quello di Serra] è un progetto del passato fondamentalista neoliberale e anti-popolare che si propone di sfiancare lo Stato per impedire che questo vincoli il capitale, locale o mondiale”. Per Serra il mercato è dio, prosegue Boff, e il Brasile deve accettare di starvi pur se in posizione subalterna.

Il Brasile di Lula invece ha rappresentato proprio il superamento della subalternità brasiliana. Il Brasile che sceglie Dilma è un Brasile maggiorenne, un “global player” in grado di non chiedere il permesso a nessuno, tantomeno a quella sinistra europea sempre delusa da chi fa ciò che questa non è capace neanche di immaginare. Oggi la sconfitta del tucano* è confermativa della fine del modello neoliberale e dell’impossibilità di un ritorno al passato. Allo stesso tempo da domani il presidente Rousseff dovrà dimostrare che quegli scivolamenti centristi e clientelari che hanno portato spezzoni importanti della classe media ad identificarsi con il PT senza per questo modificare la propria rapacità e parti delle classi popolari a pensare ad uno stato benefattore che non supponga progresso, non sono una cristallizzazione del processo ma dei problemi che Dilma vuole e può affrontare e superare.

 

* Il riferimento a López Rega, capo degli squadroni della morte della AAA, membro della P2, esoterista e burattinaio di Isabelita Perón è di chi scrive. I giornali che esercitano la loro misoginia su Cristina neanche sanno chi è López Rega; loro insinuano a pioggia.

* Il tucano è il simbolo del partito di Serra.