Lucio Caracciolo, Limes sull’America Latina è inconsistente

E’ necessaria una riflessione sul numero di Limes (2/2007) in edicola, intitolato “Chávez-Castro, l’antiamerica”. Chi scrive ne ha discusso per oltre un’ora nel programma di Radio RAI Radio3Mondo con il direttore di Limes, Lucio Caracciolo, con uno degli autori, Maurizio Stefanini de Il Foglio e con il conduttore, Gian Antonio Stella, firma del Corriere della Sera. La registrazione può essere ascoltata qui.

Nel dibattito radiofonico si è parlato moltissimo di Venezuela e del presidente Hugo Chávez. Molto meno del numero di Limes che eravamo chiamati a presentare. Dal punto di vista dell’ascoltatore, e della riuscita della trasmissione, fa lo stesso. Ma avendo chi scrive scrupolosamente letto un volumotto di oltre 300 pagine, Limes appunto, per dovere professionale sento il bisogno di alcune puntualizzazioni.

La novità più importante è che la “Rivista italiana di geopolitica”, parla ben poco di geopolitica e molto di altre cose. Parla pochissimo di economia. Per esempio ignora un evento capitale come la chiusura dei rapporti con il FMI da parte di mezzo continente latinoamericano. Non c’è un solo pezzo che contestualizzi l’attuale fase storica dopo il crollo dell’ortodossia neoliberale. Dovendosi occupare di Venezuela non c’è un solo articolo sull’ingresso del paese nel Mercosur né sul Mercosur in generale. Non c’è un solo articolo che si occupi di spiegare come si sia trasformato l’import-export della regione negli ultimi anni. Non ce n’è uno che provi a spiegare che diavolo sia l’ALBA, istituzione forse fumosa, ma di un qualche interesse. Si accenna appena a Mar del Plata, quando soprattutto la cosiddetta ?borghesia nazionale? brasiliana, fece saltare il tavolo dell’ALCA, il mercato unico delle americhe voluto da George Bush.
Invece il lettore si ritrova con un sacco di spiegazioni sul perché Chávez non sarebbe popolare, sul perché non vada d’accordo con Lula (non va d’accordo?), sul fatto che i candidati che si presume siano stati appoggiati da Hugo Chávez non passano negli altri paesi. In realtà l’unico caso concreto è quello del peruviano Ollanta Humala, ed è senz’altro un tema interessante, ma come mai non c’è una riga sul fatto che, dopo 20 anni di rigidissimo “Washington Consensus”, da anni moltissimi candidati con l’imprimatur della Casa Bianca vengano respinti con perdite? Come mai gli Stati Uniti non riescono più a imporre i loro uomini nel loro ‘cortile di casa’? Dall’interno del Venezuela si parla moltissimo della figura e della personalità del presidente, sempre in negativo, ma non si parla MAI del Partito, e del cruciale rapporto tra movimento e partito, una chiave di lettura fondamentale degli eventi. Non interessava? O non avevate la persona capace di scrivere un saggio in merito? E visto il ruolo dei movimenti sociali nella nuova politica continentale, dai Sem terra agli indigeni agli zapatisti, sopravvalutati o meno, è possibile che ci sia il silenzio totale? Eppure se vi interessa così tanto Chávez come potete trascurare il rapporto tra Chávez e movimenti sociali come oggetto di studio?

Insomma, si tergiversa, si parla d’altro e fin dall’inizio si ha la sensazione che non si voglia capire quello che sta accadendo in America Latina e in Venezuela in particolare, ma si voglia lanciare un anatema, condannare, stendere un cordone sanitario perché l’infezione di un qualcosa che non si apprezza e che anzi si teme, non si estenda ulteriormente.

Simbolica in ciò è la parte cubana che occupa almeno un terzo del totale. Ma la maggior parte è costruita su articoli riciclati dalle memorie di castristi pentiti, sempre i soliti nomi, sulla scarsa credibilità etica e scientifica dei quali ha scritto benissimo Maurizio Chierici lunedì 16 sulle pagine de L’Unità. Sono articoli che possono essere stati scritti 20 o 40 anni fa e riusati oggi. Parlano delle passioni giovanili di Fidel Castro, delle sue letture o delle sue relazioni con Nikita Krusciov o Leonid Breznev. E’ materiale di risulta che anche senza entrare nel merito non fa onore a Limes e -soprattutto- nulla aggiunge e forse qualcosa leva alla comprensione della Cuba attuale e del perché a 18 anni dalla caduta del muro di Berlino la stampa mainstream non abbia scritto una riga per provare a capire perché Cuba è sempre lì. Strano che si sia trovato spazio per tali articoli ma neanche una riga per spiegare come Cuba sia uscita dall’isolamento e come a Cuba nel 2006 si siano recati rappresentanti dei governi di tutto il mondo, a cominciare dall’indiano Singh.
Significativo in questo è il pezzo di Omero Ciai, il latinoamericanista de La Repubblica, sulla bancarotta economica dello stato cubano. E’ lo stesso articolo che Ciai ha scritto almeno una decina di volte negli ultimi anni. In genere quando uno stato va in bancarotta a questa segue la fame e poi la sollevazione, la rivolta della popolazione e il bagno di sangue oppure la caduta di un regime. Sarebbe interessante spiegare se, visto che ciò non è successo, nonostante da 18 anni venga paventato, è davvero quella descritta da Ciai la situazione di Cuba. Limes sicuramente non si perita di spiegarlo. Pura repressione? Secondo il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, nelle carceri cubane ci sarebbero 280 dissidenti, meno della metà delle persone detenute nella base di Guantanamo. Ritenta ancora Omero, ma la prossima volta evita di parlare sempre e solo con i soliti compagni di merende del News Café, al numero 800 dell’Ocean Drive di Miami Beach (per prenotazioni, tel. +1 305 5386397), che millanti essere il posto migliore da dove seguire le vicende latinoamericane.

Per un altro terzo -come detto- Limes si occupa in maniera urticantemente denigrante della figura di Hugo Chávez. Anche il più ingenuo dei lettori di Limes può rendersi conto dell’artificialità di questa demolizione sistematica. Anche a Radio3 Caracciolo insiste a parlare di “regime Chávez”, palesando un’intenzionalità facilmente leggibile. Visto che le parole sono importanti, sarebbe interessante sapere perché Caracciolo parla di “regime Chávez” e non di “regime Lula” o di “regime Prodi” e men che meno di “regime Calderón” in quel Messico con centinaia di prigionieri politici, torturati, bastonati, morti ammazzati, carri armati in strada. Sarebbe interessante sapere perché la “rivista italiana di geopolitica” dedichi (giustamente) molto spazio alle relazioni tra due dei principali produttori di petrolio al mondo, Venezuela e Iran, ma non ci sia uno straccio di articolo sulle relazioni tra Venezuela e Colombia, una delle frontiere più calde del mondo. Quando ho pagato 12 Euro per acquistare Limes, mi hanno venduto un prodotto che promette di andare “nel cuore del continente latino”. Evidentemente quella tra Venezuela e Colombia è una frontiera sulla quale bisogna conoscere molto per scrivere cose utili. E allora per Caracciolo è più facile dar credito ad un grande organizzatore di squadroni della morte come John Negroponte che sostiene che l’America Latina sia oramai disegnata tutta come verde nelle mappe di Al Qaeda (sic!).

Emerge una volontà costante di spostare il discorso dai processi reali al piano del folklore, dell’esotismo e della denigrazione personale. Il progettato oleodotto continentale deve essere definito ‘Hugoducto’, altrimenti non sarebbe esaltata la presunta megalomania di Chávez. C’è un dettaglio che svela l’eurocentrismo brutale di Limes. Nella parte sull’America latina, tutte le grandi opere che i governi di sinistra latinoamericani vorrebbero realizzare sono bollate di inconsistenza e megalomania. Nella parte finale della rivista, nella quale si parla di altri temi, ci sono altrettante cartine con le grandi opere progettate in Europa, oleodotti, corridoi, alte velocità. Queste, ovviamente, sono difese da Limes e considerate realistiche, urgenti e indispensabili.
Che il presidente boliviano Evo Morales professi un sincretismo tra cattolicesimo e religione aymara è considerata (Stefanini) una dimostrazione dell’inconsistenza del personaggio. C’è un pezzo che parla addirittura di un presunto asse esoterico tra Castro, Chávez e Morales, ma non ce n’è nessuno che parla del sicuro ‘asse del male latinoamericano da colpire’ teorizzato da Donald Rumsfeld. Forse che una più volte ventilata guerra statunitense contro un paese latinoamericano non è un soggetto interessante per Limes? E il colpo di stato a Caracas dell’11 aprile 2002? Non era un soggetto utile? Perché in Italia non se ne parla mentre il giorno 11 la BBC ha dedicato un importante speciale all’anniversario?

Emerge un’intenzionalità costante che a chi scrive risulta offensiva della propria intelligenza, di quella dei lettori, e fuorviante per la comprensione del processo politico latinoamericano. Lucio Caracciolo, insomma, SCEGLIE di parlar d’altro. Pagine e pagine a spiegare che Chávez, Morales, Lula hanno relazioni con gli Stati Uniti. Davvero una rivelazione esplosiva. E’ di una parte dell’ultrasinistra europea l’idea bigotta e impraticabile di un cordone sanitario che isoli gli Stati Uniti. I pragmatici governi di sinistra latinoamericani, e se potesse Fidel sarebbe il primo, non vogliono altro che commerciare con gli Stati Uniti. Ma lo vogliono fare su di un piede di parità, non con patti leonini qual’era l’ALCA. E’ indicativo che tra tante mappe e mappine, non ci sia spazio in Limes per un articolo ragionato sulle relazioni economiche tra America Latina e Stati Uniti e sul ruolo dei TLC, sulle rotte commerciali Sud-Sud, magari citando la teoria del sottosviluppo. Insomma non c’è nulla o quasi di geopolitico in Limes e molto di aneddotico. Sarà un caso?

CHAVEZ FASCISTA? La pochezza di questo numero di Limes si esplicita in tutta la sua debolezza in un saggio, “Bolivarismo e fascismo” (pp. 197-212), firmato da tale Manuel Caballero, che merita di essere analizzato. Dovrebbe essere il saggio pesante, pensato, metodologico, intorno al quale dovrebbe ruotare tutto il numero di Limes. E’ il saggio che DEVE dimostrare che Chávez non è altro che un fascista e chi da sinistra guarda a lui si sta sbagliando. Peccato che il signor Manuel Caballero nel saggio stesso dimostra che non passerebbe un esame di prim’anno di Storia Contemporanea in qualunque università italiana.

Ne consiglio la lettura. Il tutto si basa su di uno paio di strani sillogismi e molti svarioni che testimoniano più crassa ignoranza che malafede. Il sillogismo di apertura sostiene che siccome Mussolini ammirava Simón Bolivar di conseguenza Bolívar non poteva essere altra cosa che fascista. Al dunque, siccome è noto che anche Chávez ammiri il fascista Bolívar, l’ovvia conclusione è che anche Chávez non sia altro che un fascista.

Nel mezzo c’è un paragrafo (p. 201) per il quale la matita rossa si consumerebbe rapidamente. S’intitola pomposamente, Bolívar e la ‘religione politica’. La categoria di ‘religione politica’, derivata dallo storico statunitense di origine tedesca George Mosse, è una categoria eminentemente novecentesca che si attaglia al fascismo in quanto espressione della società di massa. Più prudentemente Caballero potrebbe arrampicarsi sugli specchi e fare dei paralleli tra le forme partecipative venezuelane e il fascismo stesso. Se fosse in buona fede troverebbe ben pochi parallelismi. Epperò lo stesso Caballero afferma testualmente che “nessuno ha ancora capito (sic!) in cosa consista la democrazia partecipativa”. Ma, soprattutto, Caballero ce l’ha con Bolívar. E’ Bolívar il fascista da rispedire nelle fogne e non importa che non c’è ‘religione politica’, almeno nell’accezione del dibattito storiografico al quale Caballero pretende di rifarsi, senza ‘900 e senza masse. Merita di essere letto il guazzabuglio di Caballero sulla ‘religione politica’ del fascista Bolívar. L’apparato critico è praticamente inesistente, ma vi si legge una perla autentica. A p. 208 Caballero si preoccupa di spiegarci che lo storico Emilio Gentile non va confuso con Giovanni Gentile. Ne siamo commossi, ma in una nostra tesi triennale un qualsiasi studente risulterebbe più scaltro.

In chiusura, a rafforzare il suo ragionamento, il signor Caballero sbatte lì un altro sillogismo, ancora più tranchant del primo, ma che ne rivela le semplicistiche ma incrollabili certezze. Si ritrova tra le mani un vecchio, valido e molto noto scritto di Umberto Eco (Il fascismo eterno), lo decontestualizza e lo usa per dimostrare che chiunque sia critico con il liberalismo non possa essere altro che fascista. Per Caballero, tutto quello che non è liberismo è fascismo. Un tale ragionamento non può non riportarci a quel “Progetto per un nuovo secolo americano”, quello del profitto come principio morale, che fu propedeutico alle guerre infinite. Mi domando se è possibile che Caracciolo non percepisca come il povero ragionamento di Caballero sia completamente interno al neoconservatorismo più estremo -quello dei Daniel Pipes, per il quale Allende era Hitler- al quale Limes (e il gruppo editoriale l’Espresso), sta oggettivamente facendo da sponda.

“Per combattere il liberalismo -scrive con pathos Caballero- ogni bandiera è buona. Se è quella del socialismo, ben venga. O forse si dimentica cos’erano i nazisti? Che il loro nome non era un’abbreviazione di partito nazional-socialista?” Di fronte a cotanta intuitività, credo che non serva aggiungere altro.

Stimato Lucio Caracciolo, può un intellettuale raffinato come lei aver pubblicato un articolo di questo livello? A che cosa si deve questo scadimento radicale di contenuti, analisi, selezione, impianto della “rivista italiana di geopolitica”, Limes? Devo ancora consigliare alla mia facoltà di confermare l’abbonamento a Limes?