Mario Vargas Llosa: “Evo Morales è il nuovo razzismo”

L’ex scrittore peruviano Mario Vargas Llosa, ha individuato un nuovo bersaglio da colpire: i governi latinoamericani che non hanno alla testa un bianco sarebbero razzisti. Di conseguenza, lo scrive Vargas Llosa sulle pagine del quotidiano conservatore argentino la Nación, è razzista il governo presieduto dall’indio Evo Morales in Bolivia insediatosi questo fine settimana, com’è razzista il governo venezuelano presieduto dal meticcio indio e nero Hugo Chávez e sarà razzista l’eventuale governo presieduto dall’indio peruviano Ollanta Humala, in testa nei sondaggi.

L’argomento forte dell’intellettuale ultraliberale è che la lettura che vede il problema dello sviluppo latinoamericano anche in termini di razzismo delle minoranze creole che hanno sempre governato il continente contro le minoranze native e afroamericane, non sarebbe altra cosa che una forma di razzismo indio di ritorno contro i bianchi.

L’argomento è inconsistente, pretestuoso ed opinabile ma, approfittando della mancanza di memoria o del pregiudizio dei suoi stessi lettori, Vargas Llosa reinterpreta così il conflitto razziale che è parte della storia latinoamericana. “Un latinoamericano tanto più si arricchisce tanto più è bianco, ma se si impoverisce si indianizza” scrive Vargas Llosa e neanche si rende conto del proprio razzismo privato insito in tali affermazioni. Quindi il pregiudizio razziale sarebbe in America Latina soprattutto un pregiudizio socioeconomico. E’ un argomento non privo di senso comune come di demagogia. Ma è un argomento che ricorda quello del partito razzista sudafricano che difendeva l’apartheid come legittima difesa bianca contro il presunto razzismo dei neri.

Quella che usa l’illustre retore peruviano è la nota figura retorica del razzismo ribaltato. Chi, come le classi dirigenti creole latinoamericane, sono sempre state razziste, improvvisamente scoprono, si preoccupano e si indignano per il presunto razzismo di una società che non riconosce più la loro “superiorità razziale”, se i rapporti di forza nella società stessa si modificano. Perciò, in società storicamente dominate dalle minoranze bianche, e razziste, sarebbe preoccupantemente razzista qualunque fenomeno politologico che privasse quelle minoranze del potere politico ed economico. Le classi dirigenti di sempre, sempre bianche, scoprirebbero secondo Vargas Llosa il loro meticciato -dopo essersi sbiancate per generazioni più di Michael Jackson- per dimenticare i privilegi dei quali hanno sempre goduto in un ridicolo: “siamo tutti meticci”.

Il pregiudizio socioeconomico evocato da Vargas llosa però non spiega il radicale dislivello di reddito e di accesso ad educazione e salute tra bianchi e non bianchi. Soprattutto dimentica il razzismo istituzionale imperante nel continente dove, senza risalire alla schiavitù o alla conquista, fino a pochi anni fa la grande maggioranza india della Bolivia non aveva permesso di entrare nella piazza Murillo, la principale di La Paz -un vero e proprio sistema di apartheid- o per le classi medio/alte antiperoniste argentine il popolo peronista era composto solo da “testoline negre”. Il razzismo in America Latina è sempre stato sinonimo del conflitto di classe, ma di questi tempi non è conveniente evocarlo.

Vargas Llosa dunque riscopre l’essenza meticcia d’America (vivaddio!) ma solo per colpire quei governi che si propongono di superare e democratizzare l’accesso al governo offrendolo per la prima volta nella storia a chi ne è stato escluso per 513 anni.

Non è una novità per l’ex scrittore peruviano. Questo, da quando ha esaurito l’ispirazione letteraria, si è riciclato come propagandista in servizio permanente effettivo al servizio della causa di tutti i governi di destra latinoamericani, del Fondo Monetario Internazionale, del neoliberismo più ortodosso e del Partito Repubblicano statunitense.

Vargas Llosa sembra avercela a morte con Evo Morales che definisce “un arrivista furbo come una lucertola con esperienza solo come manipolatore di uomini e donne”. A Chávez in questi anni ha dedicato decine di articoli, pieni più di insulti rancorosi che di argomenti politici. Vargas Llosa non si cimenta a spiegare la stranezza del perché mai un madre lingua aymará o quechua non sia mai diventato presidente della Bolivia prima di Evo Morales ma è sicuro che quello di Morales, Chávez, e domani probabilmente di Humala rappresentano: “un nuovo razzismo”. Non è neanche interessante per Vargas Llosa spiegare come e perché nell’ultimo quarto di secolo, quello del trionfo del neoliberismo che difende a spada tratta, in Perù e Bolivia -paesi che hanno applicato alla lettera tutti i dogmi neoliberali- l’altezza media della popolazione si è abbassata di 3 cm, sono raddoppiati i bambini che alla nascita pesano meno di due kg e la durata media della vita oramai è più vicina ai 50 che ai 55 anni. L’importante per Vargas Llosa è delegittimare quelle stesse persone, più basse, più denutrite e con un’aspettativa di vita più bassa, nel momento in cui riescono ad esprimere una maggioranza di governo.

Le strumentali accuse di razzismo contro Morales e Chávez seguono di pochi giorni le farneticanti accuse di antisemitismo contro il presidente bolivariano Hugo Chávez, definite come assolutamente inconsistenti da organizzazioni ebraiche sia venezuelane che statunitensi. La crescita di frequenza e virulenza di accuse infondate quanto delegittimanti come quelle di razzismo e antisemitismo contro i governi progressisti latinoamericani è parte di una campagna di stampa tendente alla delegittimazione di questi da parte del governo degli Stati Uniti alla quale scrittori come Vargas Llosa collaborano attivamente.

Il governo degli SU, che più volte ha fatto definire tali governi come “nuovo asse del male latinoamericano” e che ha organizzato e dato il benestare al fallito colpo di stato a Caracas l’11 aprile 2002, orchestra continue campagne di stampa delegittimanti contro i governi progressisti latinoamericani. Sono campagne di stampa riprese con munificità di spazi dalla stampa euroccidentale senza apparato critico, né verifica, né controcanto alcuno. Veline di Washington. Il pretestuoso e diffamante articolo di Vargas Llosa probabilmente in settimana sarà ripreso e tradotto da qualche grande quotidiano italiano. E farà opinione.