- Gennaro Carotenuto - https://www.gennarocarotenuto.it -

Su Daniel Ortega, Sergio Ramírez e gli interessi dei media europei contro l’America Latina progressista

Come avevo preannunciato, l’aggiornamento del sito girando per cyber messicani, mi risulta molto difficile. Anche se con gli accenti acuti voglio però puntualizzare alcune cose. A presto articoli da e sul Messico, López Obrador, zapatismo, Oaxaca…

Su tutta la stampa di centrosinistra mondiale ha imperversato in questi giorni Sergio Ramírez, ex-dirigente sandinista, con una dichiarazione facilmente riassumibile in “il trionfo di Daniel Ortega è la cosa peggiore che potesse succedere al Nicaragua”. Non importa quanto apodittica sia questa dichiarazione, e non importa preoccuparsi se gli altri candidati fossero effettivamente migliori di Daniel Ortega. Non importa neanche capire perché dopo 16 anni di neoliberalismo spietato (il migliore dei mondi possibili), che ha costretto all’emigrazione il 10% della popolazione, distrutto quel poco di servizi lasciati dalla rivoluzione, e lasciato nell’inedia il 70% della popolazione nicaraguense, finalmente la popolazione nicaraguense abbia detto BASTA a 16 anni di neoliberismo. L’importante è che a far dire che Daniel è il peggio del peggio si trovi disponibile qualcuno che si considera “di sinistra”.

Per le elezioni venezuelane del prossimo 3 dicembre sta già scaldando i motori Teodoro Petkoff, che con la scusa di tirare palate di letame (ma di sinistra) su Chávez ottiene più comparsate sulla stampa internazionale di quante non ne ottiene Bruno Vespa quando presenta il suo ultimo libro. Vogliamo scommettere che Omero Ciai su Repubblica si rivolgerà proprio a lui per fargli dire da sinistra tutto quello che la destra vuole che si dica di Chávez, ma che la destra stessa non ha più l’autorevolezza per dire? Teodoro Petkoff, Carlos Franqui, Vargas Llosa padre e figlio, l’agenda dei contatti degli Omero Ciai di turno si può imparare a memoria per quanto è limitata.

E´ un fenomeno noto. Hanno bisogno di qualcuno che possa dire da sinistra qualcosa di destra. Per esempio SOLO Giampaolo Pansa può dire “da sinistra” montagne di panzane in malafede sulla Resistenza, che se fossero dette da Tarchi o Veneziani verrebbero presi “a fischi e pernacchi” e invece “se lo dico io che sono di sinistra…” allora anche la peggior vulgata neofascista si fa “pensiero unico” e se osate criticarmi non siete democratici.

Lo stesso succede in questi giorni per il corteggiatissimo Sergio Ramírez e per le elezioni in Nicaragua, l’ultima provincia dell’impero di una regione, il Centroamerica, che si considerava completamente normalizzata e disponibile ad ogni Plan Puebla-Panamá che venisse in mente agli interessi coloniali. Perciò il ritorno al potere del sandinismo viene accolto in maniera così sguaiata e il fatto politico che finalmente il sandinismo abbia vinto le elezioni secondo i canoni della democrazia rappresentativa va minimizzato o negato.

Daniel Ortega è un corrotto ed un personaggio politico attaccato al potere. Vero. Gli altri candidati invece non lo erano? Daniel Ortega da ateo praticante si presenta oggi come più devoto di Marcello Pera e Francesco Rutelli? Scandalo! Ma forse gli altri candidati da baciapile del cardinal Obando si sono trasformati in difensori della laicità dello stato?

Ernesto Cardenal -con il quale chi scrive ha discusso a lungo di questi temi appena un mese fa- il mistico, il poeta, il rivoluzionario, ha combattuto una battaglia politica per il rinnovamento del sandinismo opponendosi fieramente proprio a Daniel Ortega. Ma va riconosciuto che questa battaglia -indispensabile- é stata perduta dal sandinismo rinnovatore e spesso blandamente socialdemocratico. Battaglia perduta politicamente e sfumata dal punto di vista etico, laddove don Ernesto, che continua ad essere un rivoluzionario e continua sicuramente a stare molto piú a sinistra di Daniel Ortega, è una mosca bianca.

Dunque: cosa avrebbe dovuto votare il popolo sandinista con la pancia vuota? Piú neoliberismo come pretendeva Montealegre?
Affermava in maniera illuminante -ma magari incomprensibile per chi sta col culo al caldo in Europa- Juan Domingo Perón: “Il popolo arriverá, con i dirigenti alla testa, o con la testa dei dirigenti”. Se Daniel é oramai un pessimo dirigente politico -e lo é- adesso dovrá rispondere al popolo sandinista, cosciente e politicizzato. Quel popolo che, anche in Nicaragua, ha detto innanzitutto NO AL NEOLIBERALISMO. E’ questo il fatto politico e giornalistico delle elezioni nicaraguensi, ma non se ne trova traccia. Contrappuntare il discorso giornalistico sulla sola figura oggettivamente discutibile di Daniel vuol dire tergiversare e manipolare l’informazione sulla notizia principale che é una nuova sconfitta del neoliberismo e di Washington e la caduta di un primo contrafforte del fortino centroamericano fino adesso impermeabile alla primavera latinoamericana.

Il punto di vista di un analista esterno deve giustamente cogliere i limiti e le incongruenze della figura di Daniel, ma non puó non relativizzarli rispetto quelli degli altri candidati. Invece nella stampa italiana e internazionale appare solo che il corrotto Daniel ha immeritatamente sconfitto “il giovane e brillante economista” Montealegre. Ortega era il passato e Montealegre, che rappresentava l’oligarchia corrotta che affama i nicaraguensi da 16 anni, sarebbe stato il nuovo che avanzava? Non siate ridicoli! É chiaro che siamo di fronte all’ennesima campagna antilatinoamericana di disinformazione.

Ma c’é di piú ed é piú importante. Per esempio nessuno si preoccupa di dire che l’ex grande rivoluzionario e scrittore Sergio Ramírez é legato editorialmente a doppia mandata al “grupo Prisa”, l’editoriale “L’Espresso” spagnola, in tutto omologa al maggior gruppo editoriale di centrosinistra italiano, con la differenza che rappresenta interessi economici molto piú consistenti. La Repubblica, il nostro amico Omero Ciai, copia (vedasi per esempio presunto militarismo venezuelano in questo sito) e non lo fa neanche con bella calligrafia.

Quindi anche Sergio Ramírez risponde e si presta alla stessa logica di penetrazione monopolista nei media latinoamericani.da parte di quel gruppo che da vent’anni tira la cordata alla ricolonizzazione spagnola dell’America Latina. Come opportunamente ricorda Raúl Zibechi sulle pagine de La Jornada di giovedí, la Spagna rappresenta il 50% degli investimenti europei in America Latina. E sono investimenti concentrati nei servizi, banche, energia ma soprattutto comunicazione. Ancora ricordiamo la vergognosa azione di lobby esercitata da Felipe González quando dopo il crollo dell’economia argentina, propiziato anche dalle multinazionali spagnole, andó a Buenos Aires ad esigere per esempio che gli argentini continuassero a pagare in dollari i servizi nonostante la svalutazione. A dar retta a Felipe González, gli argentini, che si erano dissanguati per anni pagando a Telefónica di Spagna o a France Telecom 12 volte il costo di una telefonata a Parigi, dopo la svalutazione avrebbero dovuto pagare Buenos Aires per Buenos Aires, in termini reali, addirittura 36 volte il costo di una telefonata urbana fatta a Madrid o a Barcellona.

Il Sergio Ramírez di turno quindi rappresenta la cordata degli interessi neocoloniali (per quattro quinti spagnoli e statunitensi) ai quali il crollo del neoliberismo e i successi dei governi progressisti e integrazionisti rompono il gioco. Non é un caso che il colpo di stato a Caracas dell’11 aprile 2002 fu allo stesso modo supportato dal governo degli Stati Uniti, dal Fondo Monetario Internazionale, dal governo del PP di José María Aznar, dall’Internazionale Socialista della quale Felipe González era massimo dirigente e, ovviamente… dal Grupo Prisa. Chi scrive ha lavorato a El País e sa di cosa parla. La Spagna, senza il denaro fresco dragato da un quarto di secolo dalle economie latinoamericane, tornerebbe ad essere una potenza economica di terza serie. E di fronte a tale prospettiva é vero che la vittoria di Ortega e il possibile risveglio di un Centroamerica prostrato piú del resto della regione, é quella peggiore possibile. Non per il Nicaragua, ma é l’ennesima campana a morto che squilla -da Oaxaca al Gran Buenos Aires- per il colonialismo neoliberale supportato da El País, La Repubblica, l’Internazionale Socialista, la sinistra riformata.