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Dopo le poste e l’acqua, aspettando il petrolio, tocca agli aeroporti

Con circospezione ma decisione lo Stato Argentino torna ad esistere. Riacquistando il 40% (in realtà è il prezzo per i crediti non pagati dalla privatizzata) di “Aeropuertos Argentina2000”, gli aeroporti del paese divengono una partecipazione statale. La notizia segue di poche settimane la rescissione del contratto con la multinazionale francese Suez, padrona dall’epoca menemista di Aguas Argentinas e che da mesi stava servendo acqua inquinata a 800.000 abitanti di comuni del gran Buenos Aires come La matanza, Lomas de Zamora, Quilmes, Almirante Brown. Non solo in Argentina la Suez si è comportata in maniera rapinosa. Nella capitale filippina Manila, la bolletta dell’acqua, dopo un aumento del 500% era arrivata a rappresentare il 10% dei costi medi di una famiglia. In quel caso, dopo un’epidemia di gastroenterite costata almeno sette morti, era stata la Suez a rinunciare alla concessione. Anche in Argentina come nelle Filippine la privatizzazione dell’acqua ha lasciato solo macerie e debito sociale.

Una misura analoga, la rescissione per colpa del concessionario, era stata presa per Correo, le poste argentine. Anche se nessuna di queste misure può essere considerata una nazionalizzazione vera e propria il governo peronista -pressato dai movimenti sociali- punta alla ricostruzione dopo la notte fondomonetarista. I movimenti sociali chiamano il governo ad una rapida nazionalizzazione senza indennizzazione di tutte le imprese private che gestiscono l’energia, Edenor, Edesur, Repsol-YPF, comunicazioni, trasporti.

La decisione sugli aeroporti argentini segue di un giorno la notizia che rimbalza dall’Ecuador dove il governo ha ritirato le concessioni della multinazionale petrolifera statunitense Oxy ed ha inviato l’esercito a prendere il controllo delle installazioni dove si estrae un quinto del petrolio ecuadoriano. Sulle pagine del Manifesto, Giuseppe de Marzo calcola che il “debito ecologico” -i soli danni ambientali- causati dalla sola Texaco in Ecuador ammontano a 709 miliardi di dollari: “Una cifra pari a 51 volte il debito estero del paese, calcolata stimando il valore dei miliardi di galloni di greggio sversati nei fiumi, dei boschi tagliati, delle foreste inquinate, del lavoro sottopagato, di leucemie e tumori lasciate in eredità a coloro che vivevano nei pressi dei pozzi. Migliaia di miliardi di dollari letteralmente rubati ad un paese e alle sue future generazioni: ci vorranno secoli per riparare almeno a una parte dei danni fatti”.