A trent’anni dal colpo di stato in Argentina

Il colpo di stato in Argentina e la dittatura criminale dei trentamila desaparecidos, fu il cuore e il centro di una storia dannata del paese sudamericano e forse del continente. Ma è una storia che non inizia il 24 di marzo del 1976, con il colpo di stato di Videla. Inizia nel 1955, con il primo colpo di stato contro Juan Domingo Perón. E non finisce con la sconfitta nella guerra contro la Gran Bretagna per le isole Malvine, voluta da Galtieri. Finisce invece con la cacciata di Fernando de la Rúa nel dicembre 2001, quando si chiude il ciclo di distruzione neoliberale del paese. È mezzo secolo di storia nel quale l’Argentina passa dall’essere tra i primi dieci paesi più ricchi al mondo ai morti per fame, dalla piena occupazione al 42% di disoccupazione reale, dall’essere paese di immigrazione all’esodo dei suoi abitanti, dall’essere un paese sovrano e tecnologicamente avanzato, all’essere un paese completamente svenduto alle multinazionali straniere.

In questi trent’anni, la generazione dei desaparecidos è mancata molto all’Argentina. I desaparecidos non sono mancati soltanto ai loro familiari, ma sono mancati al paese. L’Argentina si vide privata di una generazione pensante, di intellettuali, sindacalisti, professionisti, avvocati, tecnici, operai, non necessariamente militanti della sinistra radicale e solo in minima parte guerriglieri. Fu un genocidio selettivo che privò il paese degli anticorpi per difendersi da quella che sarebbe stata l’epoca menemista, nella quale il processo iniziato dai militari fu completato.

Quell’Argentina era l’allievo prediletto del Fondo Monetario Internazionale. Questo la incoraggiò a svendere tutto senza guardare alle conseguenze sociali, che portarono al tetro paradosso dei morti per fame in un paese che è una grande pianura fertile e continua ad esportarealimenti per dieci volte i suoi abitanti. Il Fondo difese ad oltranza l’Argentina fino a dopo che il presidente Fernando de la Rúa fu costretto a scappare dopo aver fatto sparare sulla folla nella Plaza de Mayo, il cuore della vita e della morte del paese. Dopo la caduta il Fondo non fece autocritica, ma semplicemente cambiò versione. Gli anni di Menem e del Fondo furono anni di vergogna dopo quelli dell’orrore. Il sacco dell’Argentina, benedetto dalle istituzioni internazionali e dalle multinazionali che facevano guadagni colossali, si accompagnava alla mortificazione del paese. Così, all’esilio politico si aggiunse quello economico, mentre il sistema giudiziario era sopraffatto dalla corruzione dilagante.

Oggi, le Madri di Plaza de Mayo, una delle istituzioni più rispettabili e degne che l’Argentina abbia dato al mondo, affermano che per la prima volta il nemico non siede più alla Casa Rosada, il palazzo della Presidenza della Repubblica. L’Argentina è parte integrante di un nuovo progetto di America Latina, che si sta lentamente mettendo in cammino. Con luci ed ombre, il governo di Nestor Kirchner ha rimesso in piedi la dignità del sistema giudiziario del paese, chiudendo pagine di impunità come quelle legate alla dittatura militare ed alcuni tra i più clamorosi casi di corruzione. Lo scorso gennaio ha saldato il debito con il Fondo Monetario Internazionale e fatto chiudere la sede di Buenos Aires: dopo mezzo secolo l’Argentina non ha più bisogno dei suoi consigli interessati. Forse non tornerà più ad essere tra i dieci paesi più sviluppati al mondo ma per l’Argentina questa tappa rappresenta davvero un nuovo inizio.