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Afghanistan: dove sono le donne che si levavano il burqa al passaggio dei marines?

Un uomo di 41 anni, il medico Abdul Rahman, è stato condannato a morte per apostasia in Afghanistan. La sua storia è su tutti i quotidiani. Durante una perquisizione la polizia ex e neo-talebana aveva trovato tra le sue cose una bibbia. L’uomo non ha abiurato la sua fede ed anzi ha difeso la sua conversione al cristianesimo. Per la costituzione dell’Afghanistan “democratico”, del gagà Karzai, l’apostasia è un crimine punibile con la morte ed alla pena di morte Rahman è stato condannato.

Sono passati oltre quattro anni da quando i grandi quotidiani euroccidentali insieme alle più prestigiose televisioni del pianeta, tutte appartenenti ad una decina di grandi gruppi mediatici, ci hanno raccontato che in Afghanistan le donne si levavano il burqa e gli uomini si tagliavano la barba al passaggio dei marine liberatori.

Quei pochi, Robert Fisk, Giulietto Chiesa, che osavano contraddire la descrizione del lieto “the end” hollywoodiano della democrazia “for export”, venivano tacciati di disfattismo e condannati al rogo per connivenza con chi (già, chi?) aveva tirato giù le torri poche settimane prima.

Era il tempo nel quale il Foro Sociale Mondiale di Porto Alegre espelleva Hebe Bonafini, la fondatrice delle madri di Plaza de Mayo, per non essersi perfettamente allineata al pensiero unico, all’interpretazione unica dell’11 settembre, che non ammetteva deviazioni ideologiche neanche in quella sede. Infatti, i grandi media, perfino la Rai, illuminavano quell’evento, ed Hebe avrebbe fatto fare brutta figura.

Hebe dormiva in terra in un vecchio palazzetto insieme ai Sem Terra, mentre i grandi del Foro, francesi ma anche italiani, stavano quasi tutti allo Sheraton, con le sue stanze e lussi così uguali a quelli dello Sheraton di Davos dove in contemporanea si teneva il WEF.

E’ un’immagine che coglie la distanza tra due mondi nei quali la frontiera non passava tra Davos e Porto Alegre ma dentro Porto Alegre, come gli anni e i Fori successivi si sarebbero incaricati di dimostrare. Poche settimane dopo, l’11 d’aprile 2002, il fallito colpo di stato fondomonetarista in Venezuela, avrebbe scremato ancora di più la compagnia. Fu accolto infatti con grandissima tiepidità da gran parte della sinistra europea, anche quella che aveva partecipato a Porto Alegre. Altrove invece, la sconfitta di quel golpe così ortodosso, fu vista come la vera svolta del secolo.

Il fatto che il Foro 2006 si sia tenuto a Caracas, ma oscurato da quegli stessi media mainstream che lo avevano invece illuminato nel 2002-2003, e senza la presenza della gran parte degli illustri ospiti europei, ci fornisce un’altra pista interpretativa di un movimento che in Europa si spaccava tanto più fuori di questa trovava ragioni per restare unito. La non adesione alla manifestazione pacifista di sabato a Roma di parti sostanziali della sinistra è un segnale pesantissimo in questo senso.

I grandi media possono ancora oggi accendere e spegnere la luce, su Fori, manifestazioni, condanne a morte e colpi di stato. Anche in Cina i cattolici rischiano la vita, ma al caso di Abdul è stato ieri dedicato più spazio di quanto in un anno si dedica all’insieme delle violazioni dei diritti umani in Cina. Temo che spiegarlo con il fatto che i grandi media, la CNN, la BBC, il TG2, siano imbottiti di maoisti sia una spiegazione insufficiente perfino per i lettori di Feltri, gli spettatori di Fede o gli elettori di Calderoli. Semplicemente la Cina non si tocca.

Quegli stessi media che ignorano la Cina, hanno potuto però millantare di ragazze in minigonna per le strade di Kandahar ed oggi -e ben venga- scelgono di fare di Abdul un caso internazionale, per quanto scomodo. Alla fine però i nodi vengono al pettine e le contraddizioni sono irrisolvibili per la democrazia “for export”. Si può infatti raccontare che in Afghanistan si è votato, che in Venezuela il colpo di stato era a fin di bene, che perfino in Iraq si è votato. Ma se quattro anni dopo averci raccontato che le donne afghane si levavano il burqa al passaggio dei bravi ragazzi dell’Arkansas o del Michigan, un uomo può essere condannato a morte per apostasia, è chiaro che niente è andato come ci è stato raccontato in Afghanistan.

Come si concili l’esportazione di democrazia con la sharia e la condanna a morte per apostasia, dovrebbero spiegarlo Bush, Blair e Berlusconi, anche se a quest’ultimo nessun giornalista in questi giorni oserebbe fare tale domanda. Un po’ perché furioso, un po’ perché la politica estera e soprattutto le guerre sono state completamente oscurate nella campagna elettorale.

Anche se il posto giusto per ottenere spiegazioni da B&B&B sarebbe un Tribunale Penale Internazionale, al proporlo si verrebbe tacciati di molto peggio che di utopismo. Il problema è che l’ “esportazione della democrazia”, così come la “guerra umanitaria”, si sono giorno per giorno dimostrate espressioni senza senso. E non sono solo espressioni senza senso perché nascondono il neocolonialismo occidentale, del quale non si può parlare senza essere stigmatizzati di estremismo. Sono espressioni senza senso innanzitutto perché cariche di un volontarismo, quello neoconservatore, che si è da quel dì rivelato innanzitutto velleitario, fallimentare, estremista. Il millenarismo del “Progetto per il nuovo Secolo Americano” dei neoconservatori si è già rivelato in tutto il suo volontarismo: fallimentare prima che criminale. Perfino Francis Fukuyama se ne distanzia.

Purtroppo però, quando Massimo D’Alema afferma che è giusto esportare la democrazia anche ricorrendo alla forza, è a quel volontarismo neoconservatore che lega le sue sorti e quelle dell’Italia. Invece andrebbe affermato, qui ed ora, che quel volontarismo esce clamorosamente sconfitto da questa condanna a morte.

Tra pochi mesi il governo di centro sinistra che verrà, si troverà a fare i conti con l’ennesimo avventurismo (di nuovo, volontarista e velleitario prim’ancora che criminale) anglostatunitense, in Iran, forse in Siria, magari in Bolivia. Dovrà scegliere, il governo italiano, se definirsi sulla base delle pulsioni occidentali, della produzione di informazioni false e tendenziose da parte dei media mainstream, oppure sulla base delle reali condizioni sul terreno.

Il portato più terribile delle “guerre infinite” di Rumsfeld e soci, è infatti che vengono combattute sul terreno “là”, ma vengono combattute rispondendo a logiche politiche e mediatiche tutte interne al di “qua”. Qualcuno muore per Danzica, Kabul, Baghdad, Teheran, Caracas, Gerusalemme, Damasco ma l’unica cosa che conta è come la sua morte influisca su media, politica ed economia a Washington, Londra, Roma, Madrid.

Forse le pressioni internazionali salveranno la vita di Abdul Rahman, il medico di 41 anni convertitosi al cristianesimo in Germania. Ma non riusciranno a recuperare l’idea che una volta di più la ricetta che propone l’Occidente per il pianeta, è una scatola vuota o un congegno criminale, o entrambe le cose. Dove sono le donne che si levavano il burqa al passaggio dei marine? Chi si è commosso a quelle immagini può per cortesia fare autocritica?