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AIDS (SIDA), chiamare le malattie col loro nome

aids_stop_inf--200x150 [1] L’agenzia dell’ONU IRIN, per la “Giornata mondiale di lotta contro l’AIDS” (che in italiano dovrebbe avere come sigla S.I.D.A., come in francese e in spagnolo) malattia che colpisce almeno 33 milioni di persone tra i quali due milioni di bambini, rileva che in Africa, il continente più colpito, raramente questa viene chiamata con il proprio nome.

Nella Repubblica centrafricana si parla de “la grande malattia” mentre in Angola si chiama “la malattia della vergogna”. In Botswana è “la malattia della quale parla la radio”, nella lingua yoruba della Nigeria si parla direttamente de “la maledizione” mentre in bemba il nome della cosa è affilatissimo, “la lametta”.

A ben guardare non solo in Africa si fa fatica a chiamare le cose con il loro nome. La malattia venerea per eccellenza (e sull’incolpare Venere delle malattie a trasmissione sessuale ci sarebbe molto da discutere), la sifilide, mortale fino all’invenzione della penicillina, da 500 anni e più da noi si chiama “mal francese”. E’ un non nome uguale e contrario a quello utilizzato oltralpe visto che in Francia il “mal francese” si è chiamato a lungo “mal napoletano”.

Non solo le malattie a trasmissione sessuale non hanno nome. E’ lunga la lista di perifrasi per definire il cancro, da “brutto male” a “lunga malattia”. L’epilessia si suddivide tra “piccolo male” e “grande male”. La peste invece era spesso chiamata “la morte nera” o “la grande morte”.

Il nome stesso “malaria” non è che una perifrasi e la tubercolosi, nel corso del tempo, ha avuto molti nomi dei quali il più persistente è “mal sottile” per quella sua capacità di tagliare il respiro e renderlo sottile fino a portare alla morte. Come il “mal francese” fu il male del secolo nel ‘500, la tubercolosi lo era ancora all’alba del ‘900. Proprio in un sanatorio si svolge una delle opere capitali della letteratura del XX secolo, “la Montagna incantata” di Thomas Mann e sia una parte centrale dei “Promessi sposi” di Alessandro Manzoni che l’omonimo romanzo di Albert Camus sono dedicati alla peste.

Tanto più le malattie appaiono irrisolvibili, tanto più fanno paura fino a divenire innominabili. Ma dopo aver mietuto morti per mezzo millennio chi ha più paura, con la penicillina, del “mal francese”? E fa molta meno paura anche la tubercolosi da quando ci sono gli antibiotici e i vaccini. Altre malattie, la tubercolosi stessa, la malaria, ma dopo la scoperta dei farmaci retrovirali anche l’AIDS/SIDA, continuano a far paura solo tra i poveri, nel sud del mondo dove la “lametta” continua ad incidere a fondo ed a causare “vergogna” fino a continuare ad essere innominabile. Del resto, a causa di una rigidissima politica sui brevetti voluta dalle multinazionali farmaceutiche, non vi è nulla da fare per milioni di africani che soffrono di una malattia altrove sotto controllo.

All’alba di un secolo di nuove paure e, soprattutto in Italia, di decadenza della fiducia nel progresso scientifico e culturale, è necessario tornare a dare un nome alle cose. Se gli africani potranno dare un nome al SIDA vorrà dire che lo avranno cominciato a sconfiggere. Ma questo nome, come ha fatto la penicillina con la sifilide, gli antibiotici con la tubercolosi o il vaccino di Albert Sabin con la poliomielite, può darlo solo la ricerca scientifica.

Quella stessa ricerca scientifica contro la quale si battono oggi untori di varie sette oscurantiste (quelli che tagliano i fondi come quelli che impediscono la ricerca). E’ quello stesso progresso scientifico, che oggi siamo chiamati a difendere, che presto ci darà energia pulita e sconfiggerà il cancro e che permise all’ONU nel 1979 di dichiarare questo pianeta libero dal vaiolo, un virus che per secoli uccise e deturpò milioni di persone. E’ per merito della scienza, ed è triste che giovi ancora oggi ricordarlo, che il vaiolo appartiene al passato.