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Gianni Amelio, sì, beato chi è diverso, ma anche chi ha qualcosa da dire

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Ninetto Davoli si limita a ricordare di venire dalla Calabria e dire come ha conosciuto Pier Paolo Pasolini (quasi abusivo l’uso dell’immagine di PPP per promuovere il film) sul quale c’è solo un po’ di riproposizione d’archivio sull’omofobia che subì. Su Pasolini, la sua omosessualità e l’omofobia c’è di più e di meglio cento volte. Paolo Poli è un grande, di lui m’innamorerei, geniale (ma è geniale sempre) nel narrare i suoi rapporti estemporanei e clandestini negli androni dei palazzi di Firenze e rivendicarne il piacere.

Soprattutto, nel docufilm di Gianni Amelio «Beato chi è diverso», c’è una serie d’interviste ad anziani omosessuali più o meno noti e, à mon avis, non particolarmente significative. Gli stessi supplicano ripetutamente al regista intervistatore di non aver più nulla da dire (che spontaneo!). Lo stesso regista intervistatore sceglie di non apparire, come se l’intervista non si facesse in due, col curioso e non piacevole effetto di risposte a domande evidentemente non generiche che lo spettatore deve intuire. Il tutto con un audio in presa diretta così scabroso da paventare la necessità di un controllo all’Amplifon. Negli anni ’80, Amelio, faceva fico che l’audio in presa diretta facesse credere al pubblico di essere diventato sordo!

C’è un ex-democristiano che spiattella l’omosessualità (presuntissima) di Andreotti; un trans toccante; una coppia borghese con quasi mezzo secolo di tranquilla vita in comune, evidentemente protetta dalla classe sociale come succedaneo dello stato di diritto. Storie d’altri tempi, forse necessarie ma anche no, per ubicarci in prospettiva storica sul fatto che bene o male i diritti civili tortuosamente un po’ avanti sono andati perfino in Italia. Insomma materiale differente, un po’ di immagini di repertorio, ma senza connessione l’una con l’altra. C’è l’intervista con un Umberto Bindi morto da quel dì che, come metafora dell’omosessualità, parla dell’amore per la mamma, un servizio su una clinica inglese per curare il vizietto con belle infermierotte compiacenti, un po’ di analfabetismo omofobo tirato fuori da programmi RAI, titoli di giornali, e perfino dal Sorpasso di Risi.

Poca roba e disconnessa, soprattutto per far da contorno alle interviste per il non certo imperdibile coming out del 70enne regista Gianni Amelio, concentrato sugli anni cinquanta e sessanta del mondo omosessuale in Italia. Il tutto senza particolare conflitto con la repressione benpensante. Vite private, scordarsi lotte e orgogli, soprattutto borghesi, di preferenza artisti o intellettuali, senz’altro filo logico che quello di un legame col regista e l’omosessualità. Insomma, non è che per forza è politicamente corretto elogiare, no?