«Her», l’amore oltre il genere umano di Spike Jonze

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Non ha inventato (quasi) nulla Spike Jonze con «Her», la pellicola che ha vinto l’Oscar per la miglior sceneggiatura originale, raccontando la storia d’amore tra un uomo e un sistema operativo, Theodor e Samantha. Non ha inventato (quasi) nulla, ma quanti pensieri mette in moto in un film che sembra fantascienza ed è invece ambientato nel nostro presente prossimo.

Forse l’avrei voluta un po’ più Hal9000, il computer kubrickiano di «2001 Odissea nello spazio» quando anche l’anno 2001 era futuro remoto, la voce di un sistema operativo della quale innamorarmi. Mi avrebbe tranquillizzato. Non ero preparato alle curvature gioiose della voce di Samantha, alla vena sexy, allo spezzarsi dovuto a emozioni e non a clessidre sullo schermo, alla velatura della distanza al momento di rompere e lasciare quell’uomo che non le bastava per cancellarlo o al massimo metterlo in un backup della propria memoria allo stato solido.

Per me spettatore, il non riconoscere quella voce suadente come credibile era come volersi aggrappare a un principio di realtà dato dall’estrema vicinanza tra fiction e vita nel nostro tempo e spazio. Non già voce metallica Samantha/Scarlett ma, per favore, nemmeno così modulata! Non già scarne opzioni binarie ma neanche una sconfinata potenza di calcolo da trasformarsi in vita vera, emozioni, presenza e assenza e poi dolore, catalizzatore di nuova vita.

Samantha potrebbe stare già nascendo nella Silicon Valley o a Bangalore, e non ha nulla a che vedere con un bambolotto gonfiabile, un gioco erotico o un robot in senso stretto. Non ha corpo e delle tre leggi della robotica può fare a meno in quanto obsolete per la sua cultura relazionale con gli umani. Con «Her», solo apparentemente piccolo film del genere “tipo incontra tipa, s’innamorano, poi lei lo lascia”, il capostipite del rapporto uomo-macchina Isaac Asimov è morto per davvero. Samantha compie infatti due passi ulteriori. In primo luogo non anela all’umanità come forma di vita superiore della sua. In secondo luogo, andando oltre la relazione con Theodor, l’OS ricerca se stesso in una complessità futuribile di una nuova rivoluzione copernicana appena accennata ma presente in tutto il film: il mondo oltre la centralità del genere umano.

Non ha inventato (quasi) nulla Spike Jonze. Perfino Alberto Sordi, ed era il 1980, si confrontò con un’androide dalla quale saltava fuori la donna, con dubbi ed emozioni, perfino un po’ femminista nella tarda commedia all’italiana. In Samantha lo spettatore vede riflettersi sullo schermo, in una Los Angeles sposata con Shangai, il ribaltamento di prospettiva delle relazioni uomo/macchina. Ancora un decennio fa un magistrale Robin Williams vive duecento anni da androide («bicentennial man» dal «positronic man» dello stesso Asimov) per vedere riconosciuta la propria umanità. La macchina prima di Samantha anelava mettersi in relazione subordinata e ancillare con l’uomo. Il personaggio di Williams aborriva la potenziale eternità della sua vita e da silicio che era viene transustanziandosi in carne cercando nella mortalità umana la sua realizzazione.

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Samantha non si pone il problema “umano”. Non è sottomessa al padrone umano né vi si ribella come Hal9000. È puro spirito ed è donna solo in relazione alla preferenza sessuale di Theodor. Sarebbe stato immaginabile invertirne il genere e far innamorare una Teodora del proprio OS o farlo rispondere a un immaginario omosessuale o transgender. Non avviene sono nella commercialità dell’arte cinematografica. La descrizione della solitudine di Theodor, una delle parti più convincenti del film, declinata al femminile sarebbe forse stata fatta apparire più uterina e frustrata e l’OS più un sex toy che un amore reale.

Tra Theodor e Samantha s’instaura immediatamente un rapporto paritario, dove è lei a sorprendere, corteggiare, sedurre. Ama Theodor ma non vuole essere donna per Theodor. Commette errori, come quando cerca di trovare per lui un succedaneo corporeo. È lo scivolamento nel quale la dicotomia reale/virtuale (sesso reale vs. sesso virtuale) mostra la corda. Ma l’irrigidimento di Theodor, che infine rifiuta il rapporto sessuale reale con una sconosciuta, conferma la tenuta del modello: la virtualità vince rivendicando se stessa. I pensieri, le emozioni destinate a un mondo altro dalla nostra corporeità sono parte della nostra realtà. Non ha corpo Samantha, non vuole averlo e non ne sente la mancanza. Né ne sente la mancanza Theodor che è appagato dalla relazione con l’OS.

Ma la virtualità non vince perché il materiale perde. Vince perché è parte legittima delle nostre vite in quanto il muro tra reale e virtuale è stato abbattuto. La realtà non è più reale della materia con la quale sono fatti i sogni. Così, chi può sindacare Theodor in quei suoi passi perduti, in quella solitudine quotidiana di un amore finito (finito?) con la donna della sua vita, colmata nell’incontro col proprio OS? La storia d’amore con Samantha non è più né «second life» né «realtà virtuale» (l’obsolescenza delle definizioni contribuisce a scandire i nostri tempi), ma è un presente tutt’altro che fantascienza.

L’interesse del film di Jonze sta dunque nel dare per scontata la conclamata realtà del virtuale e andare oltre. S’è detto che Samantha non deve nulla all’uomo. Come è venuta, può andare oltre, generarsi e rigenerarsi. Non c’è nessun dubbio luddista in Theodor. È la macchina che prescinde dall’uomo, che se ne disinnamora, che lo priva della sua unicità e che va verso altre esperienze, esercitando un libero arbitrio che Theodor accetta pur soffrendone. Lei, intanto, sviluppa la sua realtà aumentata, che la pone oltre l’umanità nel tessere migliaia di relazioni e amori che alleviano altre solitudini. È un’accumulazione di esperienze che le permette un’educazione sentimentale da supernova, che infine la spinge verso altri mondi, “con i suoi amici OS”, come quando a fine estate le ragazze di città lasciano i sempliciotti di paese, con i quali hanno flirtato solo per lo spazio di una stagione.

Quel disinnamoramento, quell’ulteriore essere lasciato, serve a Theodor per fare i conti con la sua imperfezione e la sua umanità. Nel lasciarsi avvolgere da Samantha, aspira a una donna stilnovista depurata da muchi e catarri, sangue e ustioni, sfrigolii e panni sporchi, debolezze e competizioni della vita quotidiana che hanno rotto l’idillio con la donna della sua vita. Nel lasciarsi conquistare dall’OS Theodor sente depurata la defaticante ricerca della sintesi tra due esseri che la materialità impone dalla notte dei tempi. Alla fine, nuovamente solo, Theodor tornerà a rivolgersi alla donna reale con parole d’amore. Non sappiamo se Catherine, la moglie dalla quale per tutto il film sta divorziando, senza che tra loro vi sia un vero conflitto se non la difficoltà di declinare insieme la vita, sarà a sua volta in grado di fare i conti con le rispettive imperfezioni o se resterà sorda, continuando a sentirsi anche lei oltre, come un sistema operativo e non una donna in carne ed ossa.