Yoani Sánchez: caso chiuso?

fotoconyoanibn2-31356Nelle ultime 24 ore Yoani Sánchez (e/o chi per lei) ha tappato tutti i buchi aperti fino a ieri rispetto al caso del suo secondo Grand tour in Italia nel giro di tre mesi. Già lunedì notte era comparso (o ricomparso) l’annuncio dell’evento di giovedì organizzato dalla Mediolanum Corporate University. Quindi, a ore, Yoani sarà di nuovo tra noi. Ieri mattina circolava una presa di posizione della Sánchez che sosteneva, come avevo previsto ieri, che il suo email all’agente letteraria fosse un falso. Ieri sera sul sito di Gordiano Lupi (nella foto) la stessa rettifica viene pubblicata, tradotta e affiancata da un commento telegrafico: «Inutile dire che resisteremo insieme». Pace fatta? Oggi, quello stesso testo viene pubblicato in Agoravox con una cortese addenda che mi riguarda e alla quale rispondo in calce.

Caso chiuso? Fino a un certo punto.

Non si può incolpare Yoani Sánchez per la circolazione di email a lei attribuiti. Apocrifi o meno, siamo comunque in un territorio fangoso. Da sempre sostengo che non sia uno scandalo che Sánchez guadagni dalla propria attività giornalistica, possibilmente onesta. Va detto però anche che una cosa è l’attività professionale e una cosa l’attivismo politico. Mentre per l’attività giornalistica è legittimo guadagnare, il rifiuto che l’attivismo politico possa essere mosso (cito Lupi) dalla «sete di successo, denaro e affermazione personale» è del tutto plausibile. Per la maggior parte delle persone una paladina della libertà d’espressione mossa solo dal proprio interesse perderebbe qualunque credibilità.

Su questo sito abbiamo ragionato molte volte sulla «perfezione» di Yoani come ragazza immagine della critica radicale della Rivoluzione cubana nel XXI secolo. Giovane, donna, dall’aspetto gradevole e fragile, pienamente inserita nel flusso del web 2.0 in un paese dove ciò è precluso (per motivi non necessariamente politici) ai più, scrive di cose banalissime ma comprensibili a tutti: malfunzionamenti, burocratismi, abusi piccoli e meno piccoli, male di vivere di una generazione che ha perso il miglior slot della storia all’Avana come a Madrid o Roma. Se a scrivere di tali frustrazioni è un giovane che vive in un paese liberal-democratico non merita alcuna attenzione, se invece ciò si riferisce alla Cuba dell’ultimo decennio ecco che ci si può trasformare per Time in una delle cento persone più influenti al mondo, addirittura «un essere superiore», come questa settimana l’ha definita con sprezzo del ridicolo il quotidiano spagnolo di destra “El Mundo”.

A ciò si aggiungano altre due cose: a) la recettività/convenienza/sicariato dei media nel veicolare qualunque notizia su/contro Cuba e l’America latina integrazionista. Tempo fa un tweet nel quale la Sánchez lamentava di non aver linea sul cellulare (potendolo comunicare) fece il giro del mondo mentre le decine di giornalisti assassinati in quattro anni dal regime filostatunitense in Honduras non meritano una sillaba. B) La stupidità dei corpi repressivi in ogni parte del mondo hanno fornito alla Sánchez più volte la possibilità di rappresentarsi come in pericolo di vita, repressa, conculcata nelle sue libertà fondamentali. Cosa che è in parte vera, ma in parte è da questa esagerata e amplificata da media mainstream compiacenti.

Insomma il nostro «essere superiore» è cinica abbastanza da profittare di ogni spazio e, se d’uopo, se li inventa, come quando lo scorso anno speculò a lungo sulla morte del povero Oswaldo Payá -uno dei pochi oppositori seri della Rivoluzione- che invece era interamente responsabilità di un dirigente del PP spagnolo, Carromero. I media riprendevano il suo punto di vista, completamente infondato e inventato, senza verifica alcuna: Payá ammazzato da Fidel, lo dice Yoani.

Anche se i latinoamericanisti dei grandi giornali sostengono che contro Cuba anche la menzogna più sfacciata è lecita, è questa la Yoani Sánchez che non merita alcun credito, nel momento nel quale sappiamo che guadagna prestigio e soldi ogni volta che confeziona notizie false e tendenziose.

Inoltre, senza inseguire complottismi finora indimostrati su primavere e rivoluzioni colorate delle quali YS sarebbe uno strumento, nell’America latina integrazionista, della quale Cuba è pienamente parte, il nostro “essere superiore” ha scelto di accompagnarsi alle più insopportabili frequentazioni. Non è che il PSOE o il PD italiano o la SPD tedesca siano difensori della Rivoluzione cubana. Tutt’altro, ne sono distantissimi e sarebbero pronti a venerare Yoani. Ma Yoani li disdegna. Yoani Sánchez è a suo agio con l’estrema destra più rancida sia europea che americana. Va a cena con i terroristi cubano-statunitensi, frequenta meeting di golpisti, stringe la mano all’assassino del Che, prende lauti stipendi da organizzazioni impresariali monopoliste come la SIP, che in questi anni ha combattuto una strenua battaglia per mantenere il controllo dell’intero sistema mediatico latinoamericano nelle mani di pochi latifondisti dell’informazione. Ha più potere di occultare o esaltare una notizia il sistema informativo di stato cubano o Televisa in Messico? Potremmo discuterne ma Yoani non se ne cura. Mette al petto la medaglietta dell’amicizia di José Maria Aznar (sempre più nei guai con gli scandali di corruzione del PP) e quella di Mario Várgas Llosa, che sarà anche stato un fior di scrittore ma che è un fondamentalista dell’ancient régime neoliberale comparabile nel suo genere al Mullah Omar. È con questa estrema destra che la nostra va a cena.

In questo senso non è indifferente se sia vero o no che Yoani riceva un cachet di 5.000 € da Silvio Berlusconi domani sera, cosa affatto smentita. Yoani viene retribuita come professionista o viaggia per una causa di libertà?

Detto ciò rispondo con piacere a Gordiano Lupi, il traduttore di Yoani, e gli sono grato per la stima che mi esprime. Si può essere distantissimi politicamente ma vi sono due categorie di persone: quelli che difendono le proprie idee, con più o meno foga, più o meno dogmatismo, e chi invece difende le idee e gli interessi di chi lo paga. Mi fa piacere che nessuno dei due s’appartenga alla categoria dei Cavallini, Ciai, Cotroneo, Riotta.

Tuttavia resto interdetto. Ho scritto l’articolo di lunedì non per l’email  (falso o meno) di Yoani alla sua agente letteraria ma per la sua presa di posizione che ho considerato rilevantissima. Lei non è un osservatore superficiale né marginale ed è stato vicinissimo per anni a Yoani. Le confesso che anche ora non mi pare plausibile che sia entrato in crisi in maniera così dirompente per un singolo email carpito o falsificato. E men che meno mi pare plausibile che una tale presa di distanze rientri così facilmente per la smentita di Yoani e con quel «resisteremo insieme».

Riassumo con parole mie l’importanza del suo scritto: 1) fa proprie buona parte delle critiche rivolte a Yoani e scaraventa la Sánchez nel novero di una «certa dissidenza [della Rivoluzione cubana] mossa soltanto da sete di successo, denaro e affermazione personale». 2) ammette che le riforme a Cuba vanno avanti e nella giusta direzione (per lei). 3) smantella il mito del gulag tropicale ammettendo che a Cuba non venga torto un capello. Riporto un suo frammento:

Non solo escono, ma quando rientrano a Cuba, dopo aver espresso in piena libertà il loro pensiero, nessuno torce loro un capello, nessuno li arresta, nessuno li mette sotto torchio. Tutto questo va detto, a onor del vero, senza voler fare il Gianni Minà della situazione, perché voglio vedere quanti dissidenti cinesi, iraniani, birmani, coreani, persino russi possono fare la stessa cosa senza correre rischi.

Questo passaggio non è interpretabile, è inconciliabile con quanto afferma tuttora YS e non è depennabile sulla parola di questa quando afferma che quell’email è falsa. Sono cose diverse e che esprimono differenze più profonde. Insomma: nel suo articolo ha messo molto, molto di più della delusione per l’avidità di Yoani. Per esempio: circa tre mesi fa lei traduceva un’intervista a Yoani come sempre durissima nei confronti del governo cubano. Vi si legge:

Cuba non è cambiata. Oggi si vive la falsa illusione che le riforme rauliste stiano cambiando Cuba, che siamo vicini a un sistema democratico, che si può allontanare l’attenzione da Cuba […] proprio quando il governo ha aperto piccoli spiragli di autonomia economica ma continua a mantenere il pugno di ferro. 

Tutte le persone in buona fede evolvono. Ma come si concilia questo passaggio (e la quasi totalità delle cose che lei ha condiviso in questi anni e che ho spesso letto con attenzione) con il pensare che Raúl vada nella buona direzione e affermare che agli oppositori a Cuba non venga torto un capello?

Da quando mi occupo di America latina rifuggo le interpretazioni manichee (quelle che in questi anni hanno rappresentato Chávez come Hitler, Evo come un troglodita, Cristina come una Tsa Tsa Gabor), in particolare con riferimento a Cuba. Ciò sia quando viene rappresentata come il paradiso in terra sia quando la raccontano come l’inferno. Però caro Lupi viene anche il momento della sintesi. Non m’importa, anzi va a suo onore, se lei traduce gratuitamente articoli per i quali YS è lautamente pagata. Il problema è che Yoani vende e si presta a rappresentare un certo tipo di narrazione di Cuba: il gulag tropicale. Lei ci si riconosce ancora?