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Carichiamo i fucili dei franchi tiratori per salvare la Repubblica

22143 [1]Oggi le sorti della nostra Repubblica sono nelle mani di un pugno di cecchini asserragliati sui tetti e dalle finestre del Quirinale. Franco Marini è il cavallo di Troia del nemico, il peggior nemico degli italiani, quello che ne ha dissoluto i costumi, li ha obnubilati col miraggio di feste e farina e, salvando dalla forca i corrotti, ci ha poi lasciati senza la farina di lavoro dignitoso, pensioni decenti, futuro.

Oggi Franco Marini, rifiutato appena un mese fa dagli elettori abruzzesi, sarà il presidente dell’inciucio, quello del patto scellerato imposto da Silvio Berlusconi a Pierluigi Bersani, scelto per garantire cento Denis Verdini, ma non sarà il mio presidente.

Mai, mai, mai con Berlusconi! Mille volte più degno sarebbe stato il coraggio di tornare al voto. Stanotte, nell’illusione di salvare le vostre poltrone, di partorire un governicchio con le mani del satrapo che gli stringe la giugulare e decide lui quando strangolare, il Partito Democratico non ha solamente perso milioni di voti ma ha perso la dignità e il paese. Guardate le facce degli Enrico Letta e dei Francesco Boccia, che non hanno mai vinto una primaria ma stanno lì fin da bambini e contano di restarci per sempre. E chi li sposta? Magari, pensano, tra una trentina d’anni sarà uno di loro a salire sul Colle mettendo d’accordo i futuri Berlusconi e Bersani sulla nostra pelle.

Siete voi, parlamentari del PD, che nella mente di mezzo paese, soprattutto di chi vi ha votati turandosi il naso, oggi finite nel cesto dell’indifferenziata insieme a Previti e Dell’Utri. Siete soli, lì nel palazzo, parlamentari del PD, che state per votare Marini. Non rappresentate che la vostra poltrona, il vostro privilegio, il vostro difendere un agognato vitalizio mentre il paese affonda. Darete tutta la colpa a Grillo, utilizzando i monopoli mediatici, ma siete voi non i grillini che inserirete nell’urna il nome prescelto per farsi i fatti propri e per la propria impunità dal Re di Bunga Bunga e non quello degno di Stefano Rodotà.

Tutti gli errori, tutte le inesperienze, tutte le ignoranze che possono aver fatto e significato in queste settimane i parlamentari del Movimento Cinque Stelle sono nulla di fronte alla nequizia anti-repubblicana del suicidio politico assistito che ieri il Partito democratico ha prenotato per oggi non in una clinica di Basilea ma nell’aula del Parlamento riunito in seduta plenaria.

Avevo provato rispetto e compassione per la solitudine del segretario del PD di queste settimane, per la rettitudine con la quale aveva cercato in queste settimane la sortita fuori le mura, respinto ogni volta con perdite dai manipoli di Beppe Grillo, incapaci di comprenderne il dramma, tra la ricerca della svolta e l’essere circondato di infidi pretoriani all’interno del suo schieramento pronti ad accoltellarlo. Ma oggi, Idi di marzo ritardate, è Cesare che tradisce, colpisce a morte la Repubblica nata dalla Resistenza e apre le porte al nemico illudendosi di salvare se stesso. Certo, quantunque i cecchini respingessero oggi il nemico, le sorti della Repubblica resterebbero nelle mani di bande eterogenee, grillini, renziani, vendoliani, cani sciolti e il domani resterebbe incerto. Ma banditi erano chiamati i partigiani dall’occupante e dai collaborazionisti. Stiamo con i partigiani, chiunque essi siano.