La guerra contro Bersani, il Re taumaturgo Renzi e la partita per il Quirinale

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La splendida vignetta di Mauro Biani sul Manifesto di oggi rende in maniera grafica la situazione politica italiana, rappresentando Matteo Renzi come un cavallo di Troia verso la destra, desiderabile tanto dalla parte catto-liberista come da quella social-liberista del Partito Democratico per uscire dallo stallo. Ma Troia è la destra o la sinistra?

I secondi, i social-democratici o meglio social-liberisti, che hanno come leader il presidente del consiglio incaricato per metà, sembrano finalmente chiamati a prendere atto del tetto di cristallo che graverebbe sulla sinistra italiana. Incapaci di superare la soglia storica e condannati all’essere minoritari, sono chiamati a scaricare sul breve Pierluigi Bersani, fattosi umiliare sia da Grillo, che lo sbertuccia da un mese, che da Napolitano, che gli nega finanche il diritto ad un incarico pieno (è super partes lasciare Monti a Palazzo Chigi?) e sul medio termine adattarsi ad un ruolo ancillare di raccoglitori di voti altrimenti congelati: una sorta di SEL allargata a pericolosi boscevichi come Orfini o Fassina, da mettere in condizione di non nuocere garantendole un diritto di tribuna o poco più.

I primi, i catto-liberisti, s’illudono con Renzi di aprire praterie nel campo avverso: offrire un nuovo grillo parlante (ma che sa stare al mondo, ovvero manovrabile) agli elettori del M5S , cooptare  i manipoli montiani (non importa, anzi è gradita -lo chiede l’Europa- la natura duramente liberal-conservatrice di questi), spalancare porte per pensionare in gloria Silvio Berlusconi, mandare un D’Alema sul Colle a garantire il mercimonio, lusingare perfino chi ha votato per Maurizio Gasparri e… rifare la DC.

Matteo Renzi sarebbe per la partitocrazia una sorta di “Re taumaturgo”, come quelli francesi e inglesi del medioevo studiati da Marc Bloch, in grado di guarire gli infermi. L’intero PdL dovrebbe farsi da parte in nome dell’Union Sacrée dell’inciucio: governabilità per impunità. Di fronte al Re taumaturgo il riottoso Grillo obbedirebbe come Garibaldi a Teano con Vittorio Emanuele. La sinistra ovviamente dovrebbe sciogliersi in omaggio alla diffusa teoria che né questa né la destra esistano più. La crisi economica a quel punto si aprirebbe come il Mar Rosso per lasciar passare il novello Mosé e… vissero tutti felici e contenti. Siete sicuri, catto-liberisti del PD che non sia il più gattopardesco dei sogni? Siete sicuri che il popolo del M5S se la berrà? Siete sicuri che Berlusconi si contenterà del salvacondotto e non vorrà riprendersi tutto, magari per interposta persona? E noi, che riflettiamo da sinistra, siamo sicuri che la posta in gioco sia solo chi siederà su questa o quella poltrona?

Mi permetto di essere non solo scettico sulle possibilità di condurre in porto tale progetto -basterà davvero un Renzi per sbloccare la crisi italiana?- ma di ravvisare in tale prospettiva uno strumento di una vera guerra di classe operata dalle classi dirigenti, messe di fronte al fallimento totale del modello neoliberale, per non indietreggiare di un passo e tagliare perfino il dito che osi indicare la luna. L’ostacolare con ogni mezzo Pierluigi Bersani nel tentativo di formare un governo, fino a negargli il diritto (di-rit-to) ad un incarico pieno per mantenere in esercizio il governo Monti esautorato dalla fine della legislatura e dal risultato elettorale, sta acquisendo le forme di un golpismo bianco. Certo, il cammino del figlio di benzinaio piacentino era in salita, Beppe Grillo non ha mai fatto concrete aperture, ma la scelta del Colle, anche con i dieci saggi, è irrituale e chiarissima: giù le mani dal PdL, nessuno tocchi Caino, anzi, gli si assegni la consueta parte da protagonista. Il figlio della nobildonna e dell’avvocatone napoletano combatte la guerra di classe nel suo campo di appartenenza e indica un nuovo arco costituzionale che va dal PD alla Lega Nord, escludendo SEL (che non voleva neanche consultare con un irrituale sgarbo) e il M5S, che di fatto non esiste. Per anni chi scrive ha difeso Giorgio Napolitano ma, al momento più difficile del suo settennato, sta dando una prova impossibile da definire super partes. Favoritismo smaccato per Monti, l’occhiolino strizzato al PdL, bastoni tra le ruote a Bersani, ignora SEL ma tratta con i guanti bianchi la LN, contribuisce all’isolamento del M5S più di quanto questo non voglia isolarsi di suo. Elidendo un terzo o più degli elettori (M5S+LN+bersaniani) ridisegna un arco che della Costituzione nata dalla Resistenza è pronto a fare strame.

Perché mai, del resto, Beppe Grillo avrebbe dovuto fare aperture di credito al solo Bersani, che sta come d’autunno sugli alberi le foglie, in un simile nido di serpi? Il quadro istituzionale è quello, il M5S è chiaramente considerato un intruso, massacrato dai media, un ospite indesiderato al quale non lasciare alcuno spazio. Tutt’altra accoglienza vent’anni fa era stata riservata alla Lega Nord, considerata da subito come pienamente parte della conservazione del sistema. L’asse Bersani-Grillo, che molti elettori di centro-sinistra hanno sposato fin dalla sera del 25 febbraio ravvisandola come l’unica opzione in grado di modificare le cose, non è stata e non poteva essere un prerequisito della legislatura, ma continua a rappresentarne l’unico sbocco possibile a meno di non riconsegnare il paese ad un blocco conservatore che, comunque la si giri, non è uscito vincitore dalle urne e conta nella sommatoria PdL-Monti-catto-liberisti del PD una possibile maggioranza alternativa incarnata da Matteo Renzi e benedetta dall’attuale inquilino del Colle.

La partita per il Quirinale è decisiva. Il PD eleggerà il suo uomo, ma chi sarà, a chi sarà gradito, sarà la vera cifra politica della legislatura. E forse marcherà la storia politica del paese per i decenni a venire.