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Pasqua di sangue contro i diritti umani in Colombia

COLOMBIA-VIOLENCE-PROTEST [1]E’ suonata l’ora della rappresaglia contro le organizzazioni in difesa dei diritti umani in Colombia. Il sei di marzo si era tenuta la più grande manifestazione della storia della Colombia contro il Terrorismo di Stato.

Ad oggi quattro dirigenti sindacali sono già stati assassinati, due dirigenti per i diritti umani sono stati sequestrati e almeno 40 degli organizzatori della manifestazione del 6 di marzo sono stati minacciati di morte. Centinaia di altri hanno preso misure di sicurezza, alcuni stanno lasciando il paese di fronte a una ondata di violenza paramilitare solamente all’inizio che per le organizzazioni colombiane in difesa dei diritti umani ha un preciso mandante: "la responsabilità degli omicidi è di José Obdulio Gaviria, consigliere diretto del presidente Álvaro Uribe".

La denuncia di Iván Cepeda, dirigente nazionale del Movimento delle Vittime del Terrorismo di Stato è precisa: “E’ una rappresaglia per aver portato in piazza i crimini che hanno commesso nella totale impunità i paramilitari negli ultimi 20 anni”. Già il giorno prima della marcia Carmen Carvajal, un maestra dei dintorni di Santander, è stata assassinata con tre colpi alla testa da due incappucciati. Il giorno della marcia è toccato ad un dirigente del sindacato dei bancari di Bogotà. Leónidas Gómez è stato sequestrato da un gruppo di paramilitari e il suo cadavere è apparso due giorni dopo mentre a Medellín altri paramilitari assassinavano Gildardo Gómez, come Carmen maestro e sindacalista e organizzatore della manifestazione. La quarta vittima è Carlos Burbano, anche lui sindacalista, ma soprattutto instancabile nel denunciare il terrorismo di Stato a San Vicente de Caguán. Lo hanno torturato orribilmente e hanno lasciato il suo corpo in una discarica. A loro si aggiungono due consiglieri comunali ammazzati nelle ultime 72 ore: David Padilla, che aveva appena 18 anni, e Elser María Endo.

Con i due dirigenti per i diritti umani sequestrati i paramilitari, che si firmano in maniera lugubre "Aquile nere [2]" (clicca sul nome per l’analisi di Annalisa Melandri sugli ultimi sviluppi sul paramilitarismo), sono stati del tutto espliciti: hanno mostrato loro foto della marcia, di quelle che fa la polizia per individuare i partecipanti alle manifestazioni, per affidare una dichiarazione di guerra non alle FARC ma all’intera società civile colombiana che il 6 di marzo ha alzato la testa: "la nostra reazione è appena cominciata".

Di fronte allo Stato terrorista colombiano -che qualcuno si ostina a chiamare democrazia- e nel silenzio più totale dei media occidentali, l’unica impercettibile reazione è quella del sindacato statunitense AFL-CIO. Nel prossimo mese di aprile utilizzeranno il tema della repressione sindacale e del paramilitarismo per evitare la ratifica definitiva del trattato di libero commercio (TLC) tra Stati Uniti e Colombia contro il quale si oppongono per motivi sindacali. Meglio di niente verrebbe da dire. Ma la reazione -corporativa- che viene dagli Stati Uniti non sposta i termini della questione del silenzioso dissanguamento della Colombia: “Denunciamo incessantemente la repressione, gli omicidi, le minacce, ma tanto il governo come i media guardano altrove, come al conflitto con Ecuador e Venezuela” ha ricordato Iván Cepeda, un giovane e coraggioso dirigente in difesa dei diritti umani che rischia la vita ogni giorno.

E’ lucido Iván al quale i paramilitari hanno ammazzato il padre: José Obdulio Gaviria (ideologo dell’uribismo, cugino di Pablo Escobar e con due fratelli narcos) ha apertamente accusato che la manifestazione del 6 marzo fosse organizzata dalle FARC dando così il via alla rappresaglia. E le FARC sono il pretesto con il quale la parapolitica colombiana reprime ogni conflitto sociale e si sta appropriando del paese. Di fronte a una situazione così grave in Colombia suonano cinici, sinistri, e tristemente ridicoli i tentativi del governo di Bogotà, di Washington, ma anche dei media mainstream di raccontare una Colombia dove il problema sono le FARC e di un’America latina dove il problema sarebbe Hugo Chávez. Valga la ridondanza: in Colombia e in America latina il problema è l’ingiustizia e l’impunità, e chi li incarna sono gli interessi economici che il governo presieduto da Álvaro Uribe rappresenta.