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Come funziona il Porcellum, un ripassino utile per molti

Camera, senato e italiani all’estero. A ciascuno il suo modello. Tra liste bloccate e candidature plurime, i cittadini non possono scelgliere chi li rappresenta ma solo il simbolo. E così il parlamento è nominato direttamente dai partiti

Matteo Bartocci – Il Manifesto [1]

Alla fine si voterà con il tanto vituperato «Porcellum», ovvero la legge elettorale varata a maggioranza dal centrodestra alla fine del 2005. Una legge molto discutibile, soprattutto se consideriamo che l’Italia è l’unica democrazia occidentale in cui il primo partito (Fi) ha avuto solo il 23,7% dei voti (camera 2006) e l’unica in cui i due partiti principali (Fi e Ulivo) sfiorano insieme appena il 40% (senato 2006). Quando si parla di partiti «nanetti» è bene fare le proporzioni su questi «pseudo-giganti». Per i cittadini, il «porcellum» è la peggiore legge elettorale possibile. Per i partiti, invece, è una manna dal cielo.
Proviamo a fornire una bussola per orientarsi nel caos politico su alleanze, liste, candidati premier e premi di maggioranza.
Tecnicamente il «porcellum» è una legge proporzionale con il premio di maggioranza, garantisce cioè una governabilità certa almeno alla camera. E’ bene ricordare che l’Italia è l’unico paese al mondo a usare il sistema del premio a livello nazionale.
Questa legge elettorale è una somma di tre sistemi di elezione molto diversi tra loro: uno per la camera dei deputati, un altro per il senato della Repubblica e un altro ancora per gli italiani all’estero. Ogni partito, entro il 9 marzo, dovrà depositare il proprio simbolo e programma elettorale dichiarando al ministero dell’Interno il proprio «capo della coalizione» (nomen omen) e l’eventuale alleanza (collegamento) ad altri partiti. Sulla scheda elettorale i simboli di partito coalizzati tra loro sono messi su un’unica riga. L’elettore fa una sola croce sul simbolo prescelto. I voti alla coalizione sono la pura somma dei partiti che ne fanno parte.
La camera dei deputati. Il sistema garantisce alla prima coalizione di partiti a livello nazionale (con l’esclusione della Val d’Aosta e degli italiani all’estero) almeno 340 deputati, cioè il 54% dei seggi (premio di maggioranza del 4%). Tutti gli altri si dividono proporzionalmente i 277 deputati restanti. Va da sè che se il vincente supera il 54% dei voti mantiene i seggi in più. Dei 13 seggi rimanenti uno va alla Val d’Aosta e 12 agli italiani all’estero, che votano con regole proprie. Paradossalmente è una legge più maggioritaria del «Mattarellum»: chi vince anche per un solo voto prende il 54% dei seggi. Nel 2006 l’Unione ha vinto per 24mila voti.
Le soglie di sbarramento. A Montecitorio sono tre gli ostacoli da superare. 1) le coalizioni (es: la Cdl) devono superare il 10% dei voti; 2) le liste singole (es. Pd o Sinistra) devono superare il 4% dei voti; 3) i partiti collegati in coalizione (es: la Lega) devono superare il 2% dei voti. In quest’ultimo caso la legge prevede perfino il ripescaggio del miglior partito sotto il 2% (es: l’Udeur). I seggi in premio vengono distribuiti proporzionalmente nella coalizione vincente.
Il senato della Repubblica. Il sistema è simile a quello della camera ma con un’eccezione decisiva. In ossequio alla Costituzione, il premio di maggioranza (a palazzo Madama del 5% e non del 4%) non è attribuito a livello nazionale ma a chi arriva primo nelle singole regioni. Meglio, in 17 di esse, perché c’è un sistema a parte in Molise, Trentino-Alto Adige e Val d’Aosta. Si tratta in sostanza di una sorta di «lotteria elettorale» basata su 17 premi regionali diversi.
Le soglie di sbarramento. Al senato sono molto più alte: il 20% per le coalizioni; l’8% per i singoli partiti; il 3% per i partiti coalizzati. Ecco spiegato perché almeno al senato la Sinistra arcobaleno non potrà mai presentarsi con i quattro simboli di partito: come coalizione dovrebbe raccogliere il voto di un italiano su cinque.
Gli italiani all’estero. Nel 2006 erano 2.700mila. Devono decidere se votare per corrispondenza o nell’ultimo comune italiano di residenza per eleggere 6 senatori e 12 deputati in quattro zone (Europa, Nord America, Sud America, resto del mondo). I seggi sono distribuiti con un proporzionale puro (quoziente naturale e più alti resti). A differenza che in Italia sono ammesse le preferenze.
Ci sono poi alcune previsioni generali non proprio brillanti.
Le «liste bloccate». I cittadini non scelgono chi li rappresenta ma votano solo il partito che preferiscono. Gli eletti perciò sono predeterminati dall’alto secondo l’ordine di presentazione nelle liste. Il risultato è che i candidati non fanno campagna elettorale nel territorio durante il voto ma prima del voto solo dentro i rispettivi partiti. Le loro capacità di mobilitazione sono irrilevanti: chi finisce in fondo alla lista è come se non esistesse, e chi è in cima anche se non è apprezzato sarà comunque eletto.
La nomina degli scrutatori. Una novità molto sottovalutata del «porcellum» è l’abolizione del sorteggio degli scrutatori. Dal 2006 essi sono nominati direttamente dai sindaci. E a proposito dei vecchi sospetti su brogli elettorali non è una scelta incoraggiante.
Le «candidature plurime». Ad aggravare il quadro, la legge consente a chiunque di candidarsi dappertutto (o alla camera o al senato). Come si ricorderà, Berlusconi o Bertinotti, per fare due esempi, nel 2006 si sono candidati in tutte le circoscrizioni della camera. Va da sé che sono stati eletti dappertutto e, come plurieletti, hanno potuto decidere dopo il voto chi fossero gli eletti al loro posto. Alla camera il 40% dei deputati deve la sua poltrona solo all’opzione finale dei vari leader: 38 deputati ne hanno incoronati quasi 250. Numeri che non cambiano a palazzo Madama: 22 plurieletti hanno scelto più di 50 senatori. Non c’è differenza tra ex Unione ed ex Cdl: entrambi i poli hanno usato questo sistema per oltre 150 parlamentari ciascuno. Con questi numeri, non è esagerato dire come fa Roberto D’Alimonte in un suo saggio recente sulle elezioni 2006 («Proporzionale ma non solo», Il mulino 2007): «Siamo diventati l’unico paese occidentale con un parlamento direttamente nominato dai partiti, prima delle elezioni grazie al meccanismo delle liste bloccate e dopo le elezioni dalle scelte dei leader grazie alle candidature plurime».