- Gennaro Carotenuto - https://www.gennarocarotenuto.it -

Corsa all’Eliseo: Jean-Luc Mélenchon guarda all’America latina e a Cuba

UNE_MELENCHON3 [1]Sono tutti convinti che stia facendo una gran campagna elettorale Jean-Luc Mélenchon, il candidato del Fronte delle Sinistre alla presidenza della Repubblica francese. Con oltre il 15% delle aspettative di voto ha superato al terzo posto l’estremista di destra Marine Le Pen, morde forte il fianco sinistro del candidato del Partito Socialista François Hollande nella corsa contro Nicolas Sarkozy (virulentemente a destra) e ridotto gli spazi del candidato alla sua sinistra, Philippe Poutou, del Nuovo Partito Anticapitalista.

Ma al di là di come stia andando la campagna, Mélenchon, sessantenne mitterandiano e già ministro di Lionel Jospin durante la coabitazione, poi uscito da sinistra dal PS, sta rompendo la congiura del silenzio della sinistra europea rispetto alla sinistra latinoamericana, citandola spesso e volentieri e con buona competenza.

Negli ultimi anni ha ripetutamente causato polemica in Francia per la sua difesa di Cuba rivoluzionaria ma, in particolare in un’intervista importante a Página12, che vale la pena di sunteggiare [2], ha dimostrato un’insolita apertura nel monolitismo anti-latinoamericano che accomuna gran parte della sinistra europea.

Secondo Mélenchon il modello con il quale si sta costruendo il suo partito è apertamente ripreso dal Frente Amplio uruguayano che, fin dal 5 febbraio 1971, mette insieme molteplici anime della sinistra compresi gli ex-guerriglieri Tupamaros e che oggi governa il paese proprio con l’ex-guerrigliero Pepe Mujíca.

A questo si affianca una riflessione profonda sulla “Rivoluzione della Cittadinanza” ripresa dall’Ecuador di Correa, ma –ed è interessantissimo- Mélenchon dichiara di riprendere la visione del sistema mediatico da Néstor e Cristina Kirchner in Argentina (Cfr. G. CAROTENUTO [2009], Argentina: la legge sui media nel dibattito politico latinoamericano sull’informazione LATINOAMERICA E TUTTI I SUD DEL MONDO). La legge sui media argentina, probabilmente la più avanzata al mondo, prevede una suddivisione del sistema mediatico nel quale lo spazio per i media commerciali (che nel modello liberale occidentale è invece monopolista) non può superare un terzo del totale.

Perfino come slogan Mélenchon riprende quello che ha battuto il regime neoliberale argentino nel 2001: “qué se vayan todos”, “che vadano via tutti”, che sarebbe particolarmente calzante nell’Italia dei Bossi e dei Rutelli e sostiene che lo stato sociale è necessario e possibile facendolo pagare a chi ha causato la crisi. Per Mélenchon, che dalla sinistra dell’America latina dichiara di prendere la “razionalità concreta” nell’affrontare i problemi, rispetto alle continue critiche pregiudiziali che in Europa si fanno ai modelli cubano e venezuelano, il passaggio fondamentale è la crisi: in Europa la sinistra che spacca il capello in quattro, capace di criticare qualunque cosa, è incapace di contrarrestare con un nuovo modello la crisi strutturale del neoliberismo che sta distruggendo la stessa democrazia. In America latina ci stanno provando, che agli europei piaccia o no.

COMMENTO – Straordinario Mélenchon, che due settimane fa ha portato 120.000 persone alla Piazza della Bastiglia. Superando di slancio Marine Le Pen sta dicendo alle classi popolari deluse dalla democrazia, che cercano nell’estrema destra una risposta al malessere e alla paura, che invece basta riattivare la società (quella che per i neoliberali non esiste) contrastando colpo su colpo i dogmi del pensiero unico e che anche un’altra Europa è possibile. Attenzione: lo sta dicendo senza alcuna concessione a chi ha votato Front National, una lezione alla sinistra italiana che può essere capace di raccogliere frutti dalla dissoluzione leghista solo senza fare alcuna concessione alle infamie di quest’ultima ma offrendo un progetto alternativo di società che offra sicurezze a chi non ne ha più.  Non andrà al ballottaggio Jean-Luc. Ma la sua forza sta dicendo ad Hollande che solo con la sinistra può andare all’Eliseo, ribaltando i paradigmi stantii che da vent’anni ci propinano in tutta Europa sul fatto che le elezioni si vincerebbero al centro.

Rispetto all’America latina vale quello che chi scrive ha affermato per anni: come sarebbe stato sbagliato per l’America latina seguire l’Europa su un sentiero che non porta da nessuna parte, sarebbe sbagliato per l’Europa importare modelli altrettanto alieni. Ma vivaddio, Mélenchon rompe la congiura del silenzio, la congiura del disprezzo suprematista della sinistra europea verso l’America latina, che arrivò a disamorarsi perfino dei Fori Sociali Mondiali quando capì –e non accettò- che in questo momento storico la battaglia delle idee, delle proposte e delle realizzazioni concrete la vincono le sinistre latinoamericane.

Neanche a parlare poi della “sinistra riformata”. In questi anni hanno pienamente introiettato l’infamia neoliberale per la quale la prima e unica libertà da difendere sia quella economica, quella dei ricchi, quella delle rendite e chiunque voglia ancora fare quello che la sinistra europea proponeva fino a ieri sia antidemocratico. In Italia Massimo D’Alema arrivò a rifiutare d’incontrare Lula e appoggiato governi di destra economica dura e pura come quelli di Fernando Henrique Cardoso o Fernando de la Rúa. L’Internazionale socialista ha appoggiato criminali contro l’umanità e golpisti come Carlos Andrés Pérez, il complesso mediatico che al centro-sinistra fa riferimento (da El País a La Repubblica) ha eretto un cordone sanitario contro tutti i governi integrazionisti latinoamericani usando a piene mani la disinformazione e la ridicolizzazione del nemico su un fenomeno, quello delle sinistre latinoamericane, che denuda insipienze e complicità con il modello neoliberale da parte delle sinistre europee.

Mélenchon –da leader che si appresta a raccogliere milioni di voti- accende uno spot su questa “incomprensione”. Quando la sinistra europea ha guardato all’America latina lo ha fatto per frammenti. Chi guarda a Cuba in genere lo fa per quello che è stata e non per quello che è e può essere, oppure si è innamorata di frammenti di un discorso (quello zapatista per esempio) che solo può essere compreso nell’insieme. L’America latina, per gran parte della sinistra europea continuano ad essere gli Intillimani che cantano “el pueblo unido” e un popolo straccione di negretti e indianini da assistere paternalisticamente.

Così la sinistra europea è stata in questi anni incapace di guardare ai cammini difficili, contrastati, pieni di errori ma anche animati da una volontà straordinaria della sinistra latinoamericana, del peronismo kirchnerista, del Venezuela bolivariano, della Cuba che non ha mai abbassato la testa, dell’estensione della cittadinanza ai milioni che mai erano stati considerati cittadini, dal Brasile (che da quando hanno capito che è una potenza rispettano) alla Bolivia all’Ecuador. Sull’America latina la sinistra europea, anche parte di quella cosiddetta radicale, è stata straordinariamente pusillanime nel non contrastare il modello di diffamazione e manipolazione del complesso mediatico mainstream nei confronti delle esperienze che, in questi anni, hanno ridotto gli spazi del neoliberismo e riaperto quelli dell’integrazione e della cittadinanza. “Loro manipolano, io li affronto colpo su colpo” dice Jean-Luc.  Che scandalo l’America latina, che scandalo Mélenchon.