Giulio Vigevani a Linkiesta: “Quei sette milioni alla Fiat? Un bavaglio all’informazione”

L’ingresso della fabbrica di Mirafiori (Afp)
È possibile che una diffamazione possa valere sette milioni di euro? La domanda circola dopo la sentenza choc a favore della Fiat e contro il giornalista Corrado Formigli. Linkiesta ne ha discusso con Giulio Vigevani, professore associato di Diritto Costituzionale e Diritto dell’Informazione, che spiega: «Se la pena diventa così grande, allora il suo potere deterrente rischia di rivelarsi dannoso. Giornalisti ed editori, pur di non avere problemi di questo tipo, rinunciano a dire certe cose, a rischiare». Insomma, «tutto il sistema dell’informazione ne viene danneggiato».

«La cifra è enorme. Una cosa inusuale, stranissima», spiega Giulio Vigevani, professore associato di diritto dell’informazione presso l’Università di Milano Bicocca. La condanna del giornalista Corrado Formigli, decisa da Maura Sabbione, giudice della quarta sezione del Tribunale di Torino per diffamazione nei confronti della Fiat, fa discutere. Al centro di tutto, un servizio di Annozero, in cui le prestazioni della Fiat Alfa Mito, messe a confronto con quelle di altre tre automobili, apparivano le peggiori.

 

 

Secondo il giudice il servizio non era onesto. Ma non è questo il punto: quello che colpisce è la somma del risarcimento: 7 milioni di euro. Di cui 1 milione e 750mila euro sono i danni patrimoniali. I restanti 5 milioni e 250mila sono invece per danni morali.

La cifra è grande, grandissima. «Sì, ma non è questa la stranezza. Le aziende chiedono sempre grandi cifre. Quello che è più insolito è che le ottengano», spiega. Per decidere sul “caso Formigli”. La Fiat ha chiesto una somma altissima, di certo più dei 7 milioni decisi. Per decidere, il giudice si è servito di una commissione di periti «Tre, come si fa nei casi più difficili e in cui sono richieste competenze specifiche». Gli esperti, allora, hanno valutato se quello che Formigli ha detto nel suo servizio fosse vero o no. E hanno valutato anche i danni patrimoniali, cioè 1 milione e 750mila euro.

La difesa di Formigli ha puntato sul problema del conflitto di interessi della commissione: Francesco Profumo, il presidente, all’epoca era rettore del Politecnico di Torino. L’istituzione riceve finanziamenti dalla Fiat grazie a un accordo di collaborazione fino al 2014. «Certo, scegliere il rettore di un’università è sempre rischioso, proprio in virtù della sua posizione. Nel caso della Fiat e della città di Torino, il rapporto diventa ancor più delicato che in altri casi», commenta Vigevani. «Forse sarebbe stato meglio un professore». Sempre secondo la difesa di Formigli gli altri due esperti, i professori Federico Cheli e Salvio Vicari, avrebbero una serie di contratti e consulenze con aziende molto vicine alla Fiat. Obiezioni, però, che sono state respinte.

«Ci sono almeno tre cose strane in questa vicenda. La prima è il problema della libertà d’espressione». Non è un discorso banale. «Secondo una sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (quindi non un apparato dell’Unione) una sentenza del genere sarebbe inaccettabile». Perché? «Non è una questione di merito. Se la condanna è giusta, ci vuole. Ma se la richiesta di risarcimento è eccessiva, o prevede pene detentive, allora è considerata lesiva della libertà d’espressione». Una posizione decisa con una sentenza degli anni ’90, e che viene tuttora tenuta come punto di riferimento. E perché lo sarebbe? «Se la pena diventa così grande, allora il suo potere deterrente rischia di rivelarsi dannoso. Giornalisti ed editori, pur di non avere problemi di questo tipo, rinunciano a dire certe cose, a rischiare». Insomma, «tutto il sistema dell’informazione ne viene danneggiato».

La seconda, invece, «è che la Fiat potrebbe rivalersi, per una cifra del genere, sul solo Formigli, e non sulla Rai». E anche questo non dà tranquillità. Anche se, com’è ovvio, tutto dipende dai contratti stabiliti. E infine, la terza. «Quello che trovo più sconvolgente: cioè che il giudice ha fissato una cifra, due milioni di euro, da dedicare alla pubblicazione della sentenza». Qui è tutto strano: «di solito si ordina di rendere pubblica una parte della sentenza, non tutta: le motivazioni, o il dispositivo. Magari stabilendo la grandezza dei caratteri con cui pubblicarla». In questo caso, invece, «si è deciso di pubblicarla tutta. Non succede quasi mai. Eppure è un bel malloppo di sessanta pagine. Una cosa che gli dovrà costare due milioni per farla apparire sui giornali. E come sarà? Scritta piccolissima?», si chiede il professore. «Non riesco a spiegarmi il perché».

In ogni caso, «il punto è proprio nel problema dell’informazione economica». Gli errori dei giornalisti possono avere effetti «mostruosi, ed è giusto che ci sia una regolamentazione attenta», aggiunge. «Ma per come è funziona ora il sistema, chi querela non rischia niente. Al massimo, se perde, di risarcire le spese. Se si è una grande azienda come la Fiat, sono spese del tutto marginali». Contro Formigli, se avesse perso, «sarebbe stata una questione di 20mila, 30mila euro, anche considerando le spese per la commissione». Altro che sette milioni. «I giornalisti e i giornali, di fronte a queste querele, non possono fare molto, e le spese li spaventano». Chi querela, lo sa. «il problema è un fatto di intimidazione. E questo deve cambiare». Intanto, anche se Formigli e la Rai hanno già annunciato il ricorso, «la notizia ha avuto una vasta eco mediatica». E ora tutti sanno che si può rischiare anche questo.

Fonte originale: http://www.linkiesta.it/formigli-fiat