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Il mondo che cambia: l’America latina e l’India adesso sono vicine

The Prime Minister, Dr. Manmohan Singh and the President of Brazil, Ms. Dilma Rousseff in a bilateral meeting, on the sidelines of BRICS Summit, at Sanya, Hainan, China on April 14, 2011. [1]Tutto cambia velocemente. Fino ad un decennio fa la globalizzazione neoliberale sembrava un’estensione del colonialismo classico con le periferie destinate a continuare ad essere satelliti dei loro rispettivi soli. Come in questo sito stiamo raccontando da anni, spesso trattati come pazzi o estremisti, non è andata così e per l’America latina le relazioni monogamiche con gli Stati Uniti sono un ricordo del passato. Adesso tocca all’India che in poco più di un decennio calcola di moltiplicare per 25 l’intercambio.

I cosiddetti paesi del BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa) sono sempre più integrati in un commercio Sud-Sud che prescinde sempre più spesso da un mondo euroccidentale intorno al quale è ruotato tutto il loro interscambio dall’età moderna in avanti. Il dialogo e il ridisegno geopolitico delle relazioni internazionali sono fondamentali (si pensi al viaggio in pompa magna dell’allora presidente brasiliano Lula a Teheran nel 2010 o a quello di Mahmoud Ahmedinejad in Venezuela di questi giorni) ma è intorno ai BRICS che stanno crescendo integrazioni proprie di aree economiche sempre più coese.

L’intera America latina intorno al Brasile e al Sud America fin dalla fine degli anni ’90 ha costruito sulla relazione con la Cina l’uscita da quelle che l’ex presidente argentino Carlos Menem definiva “relazioni carnali” con gli Stati Uniti. La Cina viaggia oramai verso un interscambio passato in poco più di un decennio da 10 a quasi 200 miliardi di dollari, contribuendo non poco alla crescita sostenuta della regione in questi anni che, per la prima volta non si ammala più di polmonite per uno starnuto a Londra o New York. Basta un dato per spiegare la rivoluzione. Dal 2007 il primo partner commerciale del Cile (un’economia che è stata disegnata dal 1973 in avanti per essere complementare a quella statunitense) è la Cina. Ma è oramai anche l’India –fino a ieri un mondo lontanissimo- a essere divenuto negli ultimi anni un partner importante di un multilateralismo economico sempre più marcato che fa parlare di complementarità perfetta tra Asia e America latina.

Già nel 2006 il primo ministro Manmohan Singh (nella foto con Dilma Rousseff) era stato il primo grande leader non latinoamericano (dopo Giovanni Paolo II e la storica visita del cinese Hu Jintao del 2004) a viaggiare a Cuba a sanzionare che l’isolamento dell’isola era un retaggio di una guerra fredda ormai finita. Nell’ultimo decennio l’interscambio tra l’India e il Continente ha smesso di caratterizzarsi per la presenza della versione economica della Vespa, la Tata, per diversificarsi e crescere in maniera impetuosa. Ancora all’inizio dello scorso decennio l’interscambio tra il paese asiatico e l’America latina era di meno di 2 miliardi di dollari. Oggi è di 25 miliardi, dieci dall’India verso l’America e 15 in senso inverso. Nel 2012 l’interscambio India-Brasile supererà per la prima volta i dieci miliardi di dollari e vi sono 1.5 miliardi di dollari di imprese indiane investiti in Brasile e poco meno di un miliardo gli investimenti brasiliani nel paese asiatico. Secondo l’ambasciatore indiano nel Cono Sud Rengaraj Viswanathan, in un’intervista al Times of India [2], raddoppierà ancora arrivando a 50 miliardi di dollari nei prossimi due anni. Investimenti che al momento coinvolgono almeno 35.000 latinoamericani che lavorano per imprese indiane, il 50% dei quali nel settore delle tecnologie delle informazioni (IT) anche se gli investimenti maggiori –come per la Cina- sono nei settori agricolo e minerario.

Per entrambi i partner, ma soprattutto per l’America latina, la necessità di affrancarsi dalle relazioni diseguali con gli Stati Uniti sono state innanzitutto una necessità politica di fronte al collasso di fine anni ’90 delle economie fondomonetariste ma via via il commercio Sud-Sud ha smesso di essere un enunciato ideologico per divenire il più rilevante strumento di difesa dalla crisi euroccidentale e di crescita autonoma. Sono aree accomunate da una sostenuta crescita economica e dalla necessità di diversificare i propri partner di fronte alla perdurante crisi eurostatunitense. Vedi anche il rapporto del BID [3] e quello della Banca Mondiale [4].