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Una intervista e un articolo di Leonardo Boff

“Leonardo Boff è professore di teologia, filosofia, spiritualità ed ecologia. Ha lavorato per oltre vent’anni come francescano a Petropolis (Rio de Janeiro), dividendosi tra il mondo accademico e il mondo dei poveri. Da questa combinazione è nata la Teologia della Liberazione, della quale, insieme a Frei Betto, è uno dei maggiori esponenti”


 


04.04.2005 «Wojtyla, l’inverno della Chiesa»


 da l’Unità


Da lontano Leonardo Boff vive il dolore di Roma. Comincio il colloquio col teologo francescano disarmato dagli inquisitori vaticani – ultimo censore il cardinale Ratzinger- partendo dal suo libro appena uscito in Brasile. Verrà pubblicato in Italia dalla Cittadella di Assisi: «San Giuseppe e la personificazione del padre».


 


Per vent’anni Boff ha studiato la figura di San Giuseppe affascinato dal suo silenzio e dalle poche righe che le scritture gli hanno dedicato. Solo nel 1960 Giovanni XXIII ne ha inserito il nome nei canoni della messa. Per secoli la sua spiritualità è stata resa invisibile da papi, vescovi e da quei sacerdoti che dominano la scena. Perché Giuseppe non era nessuno. Ha vissuto nell’ombra come vive la maggioranza dei cristiani che oggi prendono sul serio il vangelo. Più che patrono della chiesa universale, è il patrono della chiesa domestica, della gente umile, della gente buona e senza nome sepolta nei giorni grigi di chi si guadagna la vita faticando per onorare la famiglia nel segno dell’onestà. Giuseppe è il loro esempio naturale, loro guida spirituale. Non ha lasciato in eredità una sola parola, non si sa quando è nato e quando è morto, eppure ha indicato la regola fondamentale raccolta da milioni di fedeli dimenticati. Non discutono dio ma si affidano alla sua luce. Sempre in silenzio.


 


Si ha l’impressione di una sottolineatura della diversità dal Papa che si sta piangendo a Roma. Nella sua speranza il nuovo pontefice quale novità dovrebbe interpretare?


 


«Spero che il nuovo Papa decentralizzi la chiesa. Giovanni Paolo II aveva raccolto attorno alla sua figura ogni attenzione. Tutto convergeva a Roma o a Cracovia anche se il mondo é più complesso. La folla dei cattolici e dei cristiani contempla enormi diversità. E questo modello non è ormai in grado di interpretarle con l’urgenza necessaria. Perché le realtà non si somigliano, dall’Africa all’America Latina, e per dare un volto umano alla globalizzazione concepita come concorrenza e non cooperazione, la chiesa dovrebbe trasformarsi in una rete di comunità.Il centro non riesce ad interpretare problemi e drammi che si sviluppano lontani dai rituali dalle cattedre che sappiamo».


 


Leonardo Boff ha 58 anni. Abita poco lontano da Petropolis, specie di Versaille che l’ultimo imperatore Pedro II aveva costruito nelle montagne alle spalle di Rio. Professore di teologia, filosofia ed ecologia ha lavorato più di vent’anni tra il mondo accademico e il mondo dei poveri anche dopo l’abbandono del saio. Assieme a Frei Betto è stata la voce importante della teologia della liberazione. L’inquisitore lo accusava di dar retta alla costruzione creata dai sociologi e ideologi delle cellule marxiste, preoccupandosi di una fame e povertà che in Brasile non esistono.


 


La visione di questa rete quale nuovo Papa può affascinare?


 


«Bisogna utilizzare una certa furbizia politica. Le candidature che escono dalle capitali dell’impero, Nord America ed Europa, dove prevalgono le egemonie mondiali, rischiano di provocare diffidenze diverse: chi vive a Parigi o Berlino è influenzato dalla cultura nella quale è immerso assieme ai propri i fedeli. E i popoli dei continenti infelici potrebbero ascoltarne gli insegnamenti, diffidando. Non deve essere un vescovo di curia: troppo burocratico. La curia ha perseguitato 140 teologi i cui suggerimenti nascevano dalla condivisione dei problemi della gente. Spero che la scelta cada su cardinali pastori, e non dottori. Vivono fra i fedeli, ne conoscono speranza e sofferenza».


 


Sembra un suggerimento per piegare la scelta tra candidati africani e latini d’America…


 


«È un desiderio. L’America Latina ha due cardinali che rispondono a questo desiderio. Claudio Hummes, di San Paolo. Il suo profilo ecclesiale ricorda Giovanni Paolo II nella sicurezza della dottrina. Ma l’apertura è diversa. È disposto a confrontarsi su tutto, morale e manipolazione genetica comprese. È stato il vescovo del Lula sindacalista a San Bernardo do Campo, città operaia attorno a San Paolo. Si conoscono, si frequentano da sempre. Ha studiato a Lovanio e la sua freddezza ne offusca il carisma anche se l’esperienza pastorale lo ha mescolato e continua a legarlo alla realtà della gente qualsiasi. Più sciolto e con la stessa abitudine ad ascoltare i fedeli nei quali ama immergersi, l’altro cardinale, Oscar André Rodriguez Madriaga, ha difeso la teologia della liberazione con cautela pur ribadendo senza esitazioni che l’assenza della giustizia sociale è all’origine di inquietudini da non condannare a scatola chiusa. Quando era presidente della Conferenza Episcopale Latino America è riuscito a rimarginare le divisioni che avvelenavano i cattolici di latitudini diverse. Un diplomatico convincente. Parla cinque lingue. Suona, canta, guida l’aereo ed ha una conoscenza non banale dell’economia mondiale. La interpreta come un pastore dei poveri deve interpretare.


 


Le comunità di base non hanno avuto vita facile nel pontificato appena concluso: come lo spiega?


 


«È incomprensibile. In America Latina e in Brasile mancano i sacerdoti. Dovrebbero essere 120 mila. Ne abbiamo 17 mila. Ogni parroco copre cinque o sei parrocchie lontane. Un vuoto nelle istituzioni. Le comunità servivano a colmare questo deficit. Roma non le amava. Sono laici e corrono troppo avanti, è il timore della chiesa centralizzata


 


Un vuoto o occupato dalle sette pentecostali…


 


Non è una tragedia. Contribuiscono a tener vivo lo spiritualismo della gente. Ormai bisogna dialogare con tutte le chiese. I problemi sono drammatici: un Brasile con 40 milioni di poveri deve riunire ogni forza morale alla ricerca della giustizia possibile. Le chiese possono affrontare assieme la sfida. Proprio in questi giorni, cattolici, protestanti, sincretici stanno discutendo assieme alle sette quale strategia comune adottare per risolvere i problemi dell’acqua e della fame».


 


Di quale Papa ha nostalgia?


 


«Di Papa Giovanni, come tutti. Ma è Paolo VI che affascinava. Un intellettuale sottile. Lasciava ai teologi la libertà di cercare e sperimentare. Ma è venuto l’inverno di Giovanni Paolo II: ha normalizzato la teologia ed imposto il pensiero unico alzando un bastione per difendere la chiesa ormai trasformata in una realtà occidentale. Solo occidentale mentre il cristianesimo è generoso e si apre ad ogni dialogo».


 


Eppure è stato un Papa di incredibile successo…


 


«Perché l’umanità è orfana di leader. Bush arrogante e violento. Europei tecnocratici senza fascino. Nel panorama grigio, Giovanni Paolo II ha offerto ai giovani il suo carisma dilatato nei media per riscattare la religione con una comunicazione che diventa valore. Il valore che ha contribuito a distruggere il comunismo. Solo il comunismo, perché è difficile intaccare il liberismo costruito su basi economiche e militari».


 


Giovanni Paolo II, il Grande Restauratore di Leonardo Boff


da El Mundo, Carmillaonline 


Il pontificato di Giovanni Paolo II è risultato esteso e complesso. Gli diamo il giusto merito solamente se lo consideriamo all’interno di un vasto insieme di temi che da molto tempo impegnano la Chiesa.


 


Qual è la caratteristica fondamentale di questo Papato? La restaurazione e il ritorno alla rigida disciplina. Giovanni Paolo II non si è caratterizzato né in direzione della riforma né in quella della controriforma. Ha rappresentato il tentativo di arginare un processo di modernizzazione che ha fatto irruzione nella Chiesa all’altezza degli anni Sessanta, e che stava interessando tutto il cristianesimo. In questo modo è venuta realizzandosi una resa dei conti che la Chiesa sta affrontando in relazione a due gravi questioni, dalle quali è martirizzata da più di quattro secoli.


 


Il primo problema è legato alla nascita e allo sviluppo delle altre chiese come conseguenza della Riforma Protestante avvenuta nel XVI secolo, la quale ha fratturato l’unità dell’Episcope cattolico- romana, obbligandola a tollerare le nuove chiese, che ha interpretato come scismatiche ed eretiche.


 


La seconda questione deriva dalla modernità illuminista, con l’imporsi del primato della ragione, della tecnoscienza, delle libertà civili e della democrazia. Questa nuova cultura ha messo sotto scacco la rivelazione di cui la Chiesa si sente esclusiva custode e ha messo in discussione la forma istituzionale con cui la Chiesa stessa si è andata organizzando: cioè come una monarchia assolutista spirituale in contraddizione con la democrazia e il valore dei diritti umani.


 


In rapporto alle chiese evangeliche, la strategia del Vaticano puntava alla riconversione, al fine di restaurare l’antica unità ecclesiale sotto l’autorità del papa.


 


In rapporto alla società moderna, venivano avanzate critica e condanna del progetto emancipativo e secolarizzatore, mirando a ricreare l’unità culturale sotto l’egida dei valori morali cristiani. Entrambe le strategie si sono dimostrate fallimentari. Le altre chiese sono cresciute e si sono affermate in tutti i continenti. La società moderna, con il suo portato di libertà, di scienza e di tecnica si è convertita in paradigma per il mondo intero. La Chiesa cattolica si è vista trasformare in un bastione di conservatorismo religioso e di autoritarismo politico.


 


E’ stata opera di coraggiosa e ispirata lungimiranza di un Papa, Giovanni XXIII, la convocazione di un Concilio Ecumenico che affrontasse entrambe quelle questioni non risolte. E in effetti il Concilio Vaticano II (1962-65) assunse come motto di base: non più anatema ma comprensione, non più condanna ma dialogo.


 


Rispetto alle altre chiese venne inaugurato il dialogo interconfessionale, che presuppone l’accettazione dell’esistenza delle altre realtà ecclesiali. Rispetto al mondo moderno si impose una riconciliazione negli àmbiti del lavoro, della scienza, della tecnica, delle libertà e della tolleranza religiosa.


 


Veniva però fallita una terza resa dei conti: quella con i poveri, che sono la maggior parte dell’umanità. Fu merito della componente latinoamericana della Chiesa ricordare che non esiste soltanto un mondo moderno sviluppato, ma anche un mondo sottosviluppato, che pone una scomodissima domanda: come predicare il Dio Padre in un mondo afflitto dalla miseria? Possiamo portare la parola del Dio in quanto Padre soltanto se siamo in grado di strappare i poveri alla miseria, convertendo questa realtà, dal male che è, in bene. Questo chiesero precisamente i settori più dinamici in America Latina, animati da profeti come Helder Camara. Lo slogan era: per i poveri, contro la povertà.


 


Si trattò di una svolta che spinse molti cristiani a fare il loro ingresso in movimenti sociali di liberazione e addirittura in frazioni armate, mentre numerosi vescovi e cardinali assunsero un atteggiamento di distacco nella lotta alle dittature militari e per la difesa dei diritti umani, intesi principalmente come diritti delle masse diseredate.


 


Giovanni Paolo II fu eletto Papa quando questo processo sociale era in corso. Il suo Pontificato fin dagli esordi si pose in antagonismo rispetto a queste tendenze che erano dominanti. Furono senza dubbio determinanti, in relazione a questa posizione che assunse, la sua origine polacca e le élite della Curia romana, messe ai margini ma non estinte dal Concilio Vaticano II. A Roma il nuovo Papa strinse accordi con la burocrazia vaticana, conservatrice per sua natura, che era del suo medesimo avviso. Si stabilì un granitico blocco storico costituito dal Papa e dalla Curia, che aveva il fine di imporre la restaurazione dell’antica identità ecclesiale e della vecchia disciplina.


 


Le caratteristiche personali di Giovanni Paolo II contribuirono a realizzare nella maniera migliore un simile progetto, grazie alla sua figura carismatica, alla sua innegabile capacità di irradiazione, alla sua abilità nel drammatizzare mediaticamente. Con l’intento di realizzare il suo disegno di restaurazione egli si dotò degli strumenti adeguati.


 


Riscrisse il diritto canonico in modo da reinquadrare la totalità della vita ecclesiale, giunse a pubblicare il Catechismo Universale della Chiesa Cattolica e con esso ufficializzò il pensiero unico all’interno della Chiesa. Sottrasse potere decisionale al Sinodo dei Vescovi, sottomettendolo in toto al potere papale, così come limitò il potere delle conferenze vescovili continentali, di quelle nazionali, delle conferenze religiose a livello nazionale e internazionale, marginalizzò il potere di partecipazione decisionale dei delegati e negò piena cittadinanza ecclesiale alle donne, relegate in funzioni secondarie, sempre distanti dall’altare e dal pulpito.


 


In accordo con il suo principale ministro, il cardinale Joseph Ratzinger, il Papa professava una visione agostiniana della storia, per cui ciò che importa effettivamente è soltanto ciò che passa attraverso la mediazione della Chiesa, portatrice di salvezza sovrannaturale. In accordo con questa visione, ciò che passa per la mediazione degli uomini e della storia non raggiunge la divina profondità e risulta insufficiente agli occhi di Dio.


 


Un atteggiamento simile indusse Giovanni Paolo II a una fondamentale incomprensione della teologia latinoamericana della liberazione. Questa afferma che la liberazione è opera dei poveri tutti. La Chiesa è soltanto un’alleata che rafforza e legittima la lotta per la liberazione dei poveri. Per il cardinal Ratzinger questa liberazione è unicamente umana e carente di rilevanza soprannaturale.


 


E’ storicamente indiscutibile affermare che il Papa ebbe una visione in alto grado approssimativa di questo tipo di teologia, che egli interpretò attraverso la logica dei detrattori di quella e – oggi ne siamo venuti a conoscenza – a partire dalle informazioni che la CIA forniva, in particolare sull’influenza dei teologi della liberazione in Centroamerica. Egli interpretò questa teologia come il cavallo di Troia del marxismo che egli denunciava, in ragione dell’esperienza acquisita circa il comunismo nella sua patria d’origine, la Polonia.


 


Si convinse che in America Latina il pericolo era il marxismo, quando il verace e infausto pericolo è sempre stato il capitalismo selvaggio e colonialista, con le sue élite antipopolari e reazionarie. In Giovanni Paolo II prevalse la missione religiosa della Chiesa, non la sua missione sociale. Se egli avesse detto “appoggeremo i poveri e contamineremo la Chiesa con le riforme nel nome del Vangelo e della tradizione dei Profeti”, ben altro sarebbe stato il destino politico dell’America Latina.


 


Invece organizzò la restaurazione conservatrice in tutto il continente: rimosse i vescovi della liberazione e designò vescovi lontani dalla vita del popolo, chiuse le istituzioni teologiche e sanzionò i loro docenti.


 


C’è un’enorme contraddizione tra gli atti del Papa e i suoi insegnamenti. Fuori si presentava come paladino del dialogo, delle libertà, della tolleranza, della pace e dell’ecumenismo, e domandò perdono in varie occasioni per gli errori e le condanne ecclesiastiche del passato, e incontrò i leader spirituali delle altre confessioni per pregare, tutti uniti, per la pace mondiale.


 


Invece, dentro la Chiesa, mutilò il diritto di espressione, proibì il dialogo e diede vita a una teologia dai forti toni fondamentalisti. Il progetto politico-ecclesiastico a cui il Papa lavorò non ha condotto ad alcuna risoluzione in merito alle questioni dei rapporti con la Riforma, la modernità e la povertà. Piuttosto, ha aggravato quei problemi, ritardando la resa dei conti.


 


I limiti dello stile che ha adottato nel governare la Chiesa non hanno impedito che Giovanni Paolo II raggiungesse in grado eminente la santità personale. E’ stato santo, nel quadro di una religione “all’antica”, che vive di grande devozione per i santi e specialmente per la Madonna, per le reliquie e i luoghi di pellegrinaggio. E’ stato un uomo di preghiera, profondamente. Nella preghiera egli si trasfigurava e impallidiva, altre volte gemeva e arrivava alle lacrime. Una volta lo sorpresero nella sua cappella personale, disteso al suolo in forma di croce, come in estasi, simile agli illuminati spagnoli del XVI secolo.


 


A chi l’ultima parola? Alla storia e a Dio. Noi possiamo soltanto accedere alla storia, che ci dirà quale fu realmente il significato di questo papato per il cristianesimo e per il mondo, in questa fase di mutamento di paradigmi al passaggio del millennio.