Improbabili ricercatori nell’università fondata sulla cooptazione

Giulio Palermo*

Cari ricercatori precari, pur essendo un insieme eterogeneo di persone (dottorandi, borsisti, contrattisti), da qualche tempo agite come categoria unica, quella appunto dei Ricercatori precari. Senza giudicare i vostri percorsi personali, mi rivolgo dunque a voi come categoria.
Innanzi tutto: smettetela di chiamarvi ricercatori precari! Voi non siete né ricercatori, né precari.
Non siete ricercatori perché a questa funzione, in Italia, si accede per concorso, e voi questo concorso (truccato) non l’avete ancora vinto. Non siete nemmeno precari perché la precarietà significa innanzitutto un rapporto di dipendenza dalle forze impersonali del mercato, che in voi non esiste. Il lavoratore precario non ha un padrone; ne ha infiniti. La sua funzione sociale è di rendersi disponibile all’intero sistema delle imprese e di farsi da parte quando il padrone di turno lo richiede. Il suo padrone è dunque la classe dei padroni (e il dramma del suo stato di precario è che nessuno, all’interno di questa classe, è il suo padrone personale).
Ma voi di tutto questo non ne sapete niente. Il vostro rapporto con il vostro referente è diretto. È a lui, e solo a lui, che rendete conto. E da lui correte al minimo ostacolo. Il vostro solo problema è che la cooptazione è selettiva e alcuni di voi finiranno sul serio nel mondo della precarietà, assieme a tutti i figli di nessuno. Ma, appunto, quelli di voi che conosceranno veramente la precarietà, quando la conosceranno, non apparterranno più alla vostra categoria.
Perciò voi non siete «ricercatori precari», come dichiarate, bensì siete «aspiranti ricercatori in corso di cooptazione». Ed è proprio questo essere ancora in corso di cooptazione che vi crea tanti fastidi. Perché la cooptazione ha le sue regole, prima fra tutte l’obbedienza al barone-protettore. Così vi iscrivete ai concorsi solo se lui ve lo indica e vi ritirate dai concorsi «altrui» se lui lo ritiene opportuno. E poi, fingendo di rifiutare la cooptazione, gridate che volete concorsi puliti! Ma senza mai raccontare, ovviamente, come avete vinto il posto precario di cui godete. Eppure è noto che gli assegni di ricerca, i contratti di assistenza – insomma, i concorsi per ricercatore precario, come li chiamate voi – sono veramente ad personam, perché ogni barone si sceglie personalmente i suoi gregari.
Voi dunque non siete vittime della cooptazione. Ne siete i compiacenti artefici, anche se con responsabilità ben inferiori rispetto ai baroni che vi comandano. Le vere vittime sono invece quegli uomini e quelle donne che sono respinte dal sistema cooptativo, quelli che non accettano i compromessi intellettuali cui vi piegate voi e, per questo, non riescono nemmeno ad ottenere la posizione precaria di cui vi lamentate tanto. E poi, ovviamente, ci sono gli studenti, che pagano il conto della dequalificazione di questo sistema, che passa innanzi tutto per la dequalificazione vostra (e dei baroni che vi hanno preceduto nella scalata accademica) e per la vostra incapacità di costruirvi un percorso scientifico autonomo e critico.
Se solo riusciste ad inquadrare la vostra funzione sociale nel contesto della cooptazione (che serve solo a riprodurre la cultura della classe dominante e a far tacere le voci critiche indipendenti), dei rapporti baronali (basati sulla sottomissione spontanea), della mercificazione dell’università (e del conseguente svilimento della ricerca e della didattica), allora, sì, avreste ragione di arrabbiarvi. Perché è anche sulla vostra pelle che passa l’uscita della critica dall’università. Con questa presa di coscienza, potreste finalmente superare la vostra dimensione corporativa, rivendicando il diritto ad una vera crescita scientifica, frustrata proprio dai meccanismi servili della cooptazione. Scoprireste allora che non siete soli e che c’è invece un movimento studentesco che lotta contro la mancanza di percorsi critici nell’università, che contesta i contenuti e i metodi degli insegnamenti e che si oppone alla mercificazione dell’università e alle sue funzioni di indottrinamento e controllo sociale.
Ma per muovervi su questo terreno dovete innanzi tutto rifiutare la cooptazione, che vi allontana dagli studenti e vi divide dai vostri compagni di lotta, premiando quelli di voi che si prestano al peggior servilismo e lasciando fuori le teste veramente pensanti.
* Ricercatore, Università di Brescia

da Il Manifesto