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Il vizietto diffamatorio di Massimo Cavallini contro Gennaro Carotenuto

[1]Mi segnalano che Massimo Cavallini, tra i protagonisti del fallimento dell’Unità nel 2000 e poi, trasferitosi a Miami, tra i gestori della disinformazione antilatinoamericana per vari giornali, tra i quali Liberazione di Piero Sansonetti, usi delle tenere parole nei miei confronti dandomi in sequenza del “pasdaran del filocastrismo alla Minà”, del “patetico” e accusandomi di “scrivere da cani” di latrare e altre cosine sguaiate dalle quali è possibile evincere in poche righe rilevanti profili diffamatori.

Non è la prima volta né temo l’ultima che Cavallini travisa quanto scrivo per diffamarmi ed usa epiteti “forti” con lo scopo di elevare un cordone sanitario intorno al mio lavoro: se Carotenuto è un pazzo estremista non val la pena leggerlo. Questa volta, come altre volte è già avvenuto, per potermi diffamare Cavallini è costretto a manipolare un mio post [2] attribuendomi un attacco a Yoani Sánchez sul quale mi vedo obbligato a precisare.

Come è evidente a chiunque sia intellettualmente onesto, nel post in questione e in tutto quanto scrivo in merito da anni, e del quale di seguito cito quanto rilevante, non attacco Yoani Sánchez ma quei disinformatori di professione che hanno trasformato Yoani Sánchez in un caso internazionale e contestualmente sono scrupolosamente silenziosi verso i blogger arrestati, torturati, assassinati in altri paesi dell’America latina o del Medio Oriente. Come spiegare i mille articoli su Yoani contro nessun articolo su Tal al-Mallouhi, liceale siriana in isolamento da un anno nelle carceri siriane?

Non essendo lo scopo di questo scritto un ragionamento sulla disinformazione antilatinoamericana e l’importanza del giornalismo partecipativo, ma solo offrire degli elementi certi per difendere l’onorabilità di chi scrive dalla diffamazione di Massimo Cavallini, vado subito al dunque.

Nell’archivio di Giornalismo partecipativo, Yoani è citata otto volte. Quattro sono i contributi esterni. Uno favorevole [3], è un’intervista alla stessa Yoani di Alessandro Badella. Uno è critico [4] ed è un pezzo di Gianni Minà, che non è ancora reato pubblicare. Il terzo è neutro [5] ed è firmato da Valeria Galanti che pure rileva insipienze dei nostri media sull’America latina. Il quarto è un pezzo della condirettrice di Latinoamerica, Alessandra Riccio, sulla morte di Orlando Zapata nel febbraio 2010, che cita Yoani solo di passaggio. Per la cronaca il pezzo di Alessandra [6], che difendeva l’operato del governo cubano, seguiva la pubblicazione di un altro pezzo che invece era critico di questo, firmato da Raffaele della Rosa [7].

E’ strano che un “patetico pasdaran del filocastrismo”, come mi accusa di essere Cavallini, ammesso e non concesso che ciò sia una colpa, pubblichi in maniera equanime contributi favorevoli e contrari alla ragazza habanera. Cavallini non pubblicherebbe mai contributi non funzionali al suo punto di vista. Io, però, faccio un altro mestiere.

Le altre quattro citazioni sono di chi scrive. La prima [8], del giugno 2008 recita:

Oggi il quotidiano La Repubblica (a firma Omero Ciai) dedica ben tre pagine a Cuba, al caso della blogger Yoani Sanchez libera di fare la blogger (loro preferirebbero che la fucilassero) ma non c’è una sola riga sulla notizia importantissima che riportiamo (che peraltro era di apertura per la BBC). Accusano Cuba (giustamente) di essere un paese nel quale non vi è libertà di stampa, ma il giornalismo di Repubblica e di Omero Ciai è ben peggiore.

Sono poi tornato su Yoani nell’estate 2010 nell’ambito di una riflessione [9] sul silenzio da parte dei nostri media verso le violazioni di diritti umani in più posti dell’America latina. Il passaggio su Sánchez è il seguente:

Non smettono nello stesso contesto di essere scandalosi, in un continente dove i prigionieri politici restano migliaia, i milioni di parole dedicate a una ventina di presunti prigionieri politici cubani che, stando ad Amnistia Internazionale, che pure ne stigmatizza a buon diritto la carcerazione, non rischiano né tortura né morte e sicuramente non prefigurano quel “gulag tropicale” dal quale Yoani Sánchez è libera da anni di raccontarci minuziosamente. Conosciamo perfino la pressione arteriosa del dissidente cubano Guillermo Fariñas in sciopero della fame e abbiamo letto ovunque della morte di Franklin Brito in Venezuela, ma non una riga passa, in una virtuale orwelliana censura mondiale, delle centinaia di prigionieri politici mapuche in Cile processati e condannati ancora secondo le leggi dettate da Augusto Pinochet.

Le ultime due brevi citazioni sono del febbraio di quest’anno e sono corollario a due dei vari articoli che questo sito ha dedicato nel corso del tempo alla repressione dei blogger mediorientali e per il quale è stato oscurato per anni dal regime di Ben Alì in Tunisia. La prima [2] è quella stigmatizzata da Cavallini:

I media che hanno lasciato solo Sandmonkey e che non hanno dedicato una lacrima all’assassinio di Zouhair Yahyaoui sono gli stessi che hanno trasformato la cubana Yoani Sánchez in una madonna pellegrina dell’informazione da coprire di premi, prebende, onorificenze. Chissà perché…

La seconda e ultima si riferiva alla blogger siriana ventenne [10] Tal al-Mallouhi, condannata a cinque anni di galera nell’indifferenza (fa eccezione l’eccellente Anna Maria Giordano a Radio3Mondo) complice di migliaia di Cavallini in servizio permanente effettivo nei nostri media:

La preoccupante condanna al carcere di una blogger, una studentessa liceale appena maggiorenne, da quasi un anno in isolamento, avrebbe potuto e dovuto raccogliere almeno una parte dell’attenzione ossessiva che i nostri media dedicano alla cubana Yoani Sánchez che, per la cronaca, mai è stata né arrestata né incriminata, né ha dovuto interrompere le pubblicazioni e che, quando è stata (ingenuamente) osteggiata dalla polizia cubana, ha potuto approfittare di megafoni mediatici mondiali.

Questo è quanto. Chi scrive, purtroppo per Cavallini, ha la gran fortuna di non essere a libro paga di nessuno. Chi scrive, lo si evince dalle citazioni succitate e da mille altre, è libero di criticare Cuba (o il Venezuela, o la Bolivia…) se pensa che sia giusto criticarla e di criticare gli anti-cubani a prescindere quando per silenziare il trave sul Messico (una narcoguerra civile in corso), sulla Colombia (il record mondiale di violazioni di diritti umani), sull’Honduras (un golpe che ammazza gente in strada ogni giorno), sul Cile (l’imperdonabile discriminazione dei mapuche) preferiscono scrivere paginate sulla (proporzionalmente) pagliuzza di Cuba.

Tali stranezze, il non essere a libro paga di nessuno e il non essere schierato a priori (ben diverso dal finto terzismo dei giornali) sono evidentemente una colpa imperdonabile risolvibile solo con la diffamazione. Non si può avere un giudizio complesso su Cuba. Si può solo essere acriticamente a favore o acriticamente contro.

Non ci sto: così chi scrive causa scandalo quando critica Cuba o il Venezuela (che beceri amici hanno a volte questi nobili paesi) ma causa ancora più scandalo se si permette di ricordare quanto clamorosa sia la disinformazione sparsa a piene mani dai nostri media, su Cuba come sul Messico, sul Venezuela come sulla Colombia.

Chi scrive sarà sempre libero di gridare il proprio scandalo ed è questo che fa salire il sangue agli occhi a Massimo Cavallini, Omero Ciai, Rocco Cotroneo, Emiliano Guanella, Piero Sansonetti e compagnia cantando che invece solo liberi solo di scrivere quello che il pensiero unico impone loro di scrivere. Perché avete dedicato centinaia di articoli a Yoani Sánchez e nessuno a Tal al-Mallouhi?